TRACCE DI VINO NELLE ANFORE SICILIANE DI ALTO MEDIOEVO
I ricercatori dell’Università di York hanno individuato residui chimici associabili all’uva nei contenitori ceramici da trasporto imputabili a un fiorente commercio di vino nella Sicilia islamica alto medievale. Nella ricerca, pubblicata sulla rivista PNAS, hanno scoperto che in una tipologia di anfore attribuile ai secoli IX-XI, tradizionalmente utilizzati per il trasporto del vino, tracce chimiche di uva e sono state trovate in siti diversi, dalla Sardegna a Pisa, suggerendo che il vino fosse esportato attraverso il Mediterraneo.
Collaborando con i ricercatori dell’Università di Roma Tor Vergata, il team di ricerca della struttura BioArch dell’Università di York ha analizzato il contenuto delle anfore identificando le tracce chimiche intrappolate nel corpo del contenitore e alcuni composti paragonabili a quelli trovati nei contenitori moderni ceramici utilizzati da alcuni produttori per la fermentazione del vino. Realizzando un confronto con frammenti imbevuti di mosto vinario e poi degradati nel terreno, il team ha concluso che il frutto intrappolato nelle anfore fosse effettivamente uva destinata alla produzione di vino.
Il dominio islamico si espanse nelle regioni del Mediterraneo tra il VII e il IX secolo d.C. anche in regioni che producevano e consumavano vino su larga scala.
Secondo Martin Carver del Dipartimento di Archeologia dell’Università di York, le bevande fermentate ancora assumevano un ruolo importante negativo nella vita culturale della società islamica; tuttavia, le attività commerciali legate al vino che precedettero l’arrivo musulmano, continuarono a prosperare in tutte quelle zone “dominate” dalla bevanda di uva, costituendo una solida base economica che diede loro un futuro finanziario molto promettente.
Un commercio di vino esisteva in Sicilia, dunque, già prima dell’occupazione islamica, ma sembra che fosse principalmente vino importato, dunque più consumato che prodotto. Questa nuova ricerca archeologica suggerisce, però, che la comunità islamica avesse colto l’opportunità economica rivolgendo la propria attenzione sia alla produzione che all’esportazione.
Non ci sono prove, tuttavia, che suggeriscano che i membri della comunità islamica bevessero effettivamente il vino che stavano commerciando. La prova diretta del consumo di alcol è difficile da dimostrare nella documentazione archeologica e non ci sono fonti storiche in Sicilia la natura delle bevande della comunità islamica e quella non islamica.
Léa Drieu, assistente di ricerca presso il Dipartimento di Archeologia dell’Università di York, che ha effettuato le varie ricerche, è riuscita a sviluppare nuove tecniche di analisi chimica per determinare che si trattino veramente di tracce di uva e non di alcun altro tipo di frutta: i residui organici identificate nelle anfore siciliane, trovate nell’isola stessa e in altri siti, hanno mostrato che il contenuto era sicuramente vino.
I commercianti islamici di vino sembrerebbe abbiano assegnato al vino siciliano un nuovo “marchio” utilizzando un particolare tipo di anfore che i ricercatori possono ora tracciare in tutto il Mediterraneo e identificarne le rotte commerciali.
La ricerca del team mostra, quindi, una grande prosperità alla fine del”alto medioevo alimentata non solo dal commercio del vino ma da nuove colture, dallo scambio di pesce salato, formaggio, spezie e zucchero. Le rotte commerciali, sviluppatesi a fianco delle “vecchie” industrie della Sicilia, mostrano un aumento della produzione e dei legami commerciali tra il mondo cristiano e quello islamico, portando a un proficuo periodo di prosperità.
Secondo Oliver Craig, che dirige il centro BioArCh dove è stata condotta la ricerca, grazie al test rapido e affidabile per identificare l’uva nei contenitori di ceramica, sarà interessante ora indagare finanche alla preistoria per identificare produzione e commercio di vino nel Mediterraneo.
Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini
Per ulteriori info: Università di York