CHACO CANYON, NEW MEXICO, TRACCE DI UNA LUNGA SOPRAVVIVENZA
Diversi studi e alcune recenti teorie indicano il Chaco Canyon come un caratteristico sito archeologico nel nel New Mexico nord-occidentale adibito a luogo cerimoniale e di culto delle popolazioni preistoriche di quella zona e popolato solo durante i rituali sacri. In un recente studio pubblicato sulla rivista PLOS ONE, i ricercatori dell’Università di Cincinnati avrebbero capovolto queste teorie.
Secondo David Lentz, docente di biologia alla UC e coautore dello studio, le antiche popolazioni dei pueblos avrebbero interagito con l’ecosistema locale per adattarsi e prosperare per oltre un millennio. Molti ricercatori , tuttavia, si allineano all’idea che Chaco Canyon fosse troppo arido per sostenere la vita quotidiana, dichiarando che le strutture architettoniche non erano abitazioni permanenti.
Lentz ritiene che per i colleghi l’imponente infrastruttura in pietra e legno del Chaco Canyon, costruita nel corso di molti secoli, è stata utilizzata solo come centro cerimoniale periodico e struttura di stoccaggio. Secondo i nuovi studi, invece, le nuove tracce rinvenute contraddicono molte delle teorie attualmente proposte sull’occupazione del Chaco Canyon.
Attraverso il polline recuperato e la relativa analisi botanica, attraverso la tecnologia di mappatura LiDAR utilizzata nell’ultimo decennio, Lentz e un team di ricercatori multidisciplinare proveniente dai dipartimenti di antropologia, geologia, geografia e biologia della UC, hanno elaborato uno studio di impatto su economia e ambiente da parte delle popolazioni dei pueblos nel Chaco Canyon.
L’obiettivo dello studio, aggiunge Lentz, si è concentrato sul fornire nuove informazioni sulla sostenibilità delle pratiche di utilizzo del suolo nel Chaco Canyon durante l’ occupazione dei Puebloans. I risultati aggiungono nuovi dati che rivelano cambiamenti nello sfruttamento dei boschi di ginepro e pini che si sono verificati prima del 600 a.C., quando il sistema di approvvigionamento alimentare è passato dalla caccia e dalla raccolta alla produzione agricola.
Il cambiamento nella gestione delle risorse alimentari puebloans ha migliorato la capacità di sostenere popolazioni più grandi in un paesaggio aspro e arido, per diversi secoli, durante il periodo precolombiano. Ma con le loro modifiche del paesaggio sono arrivate gravi ripercussioni ambientali: al costo di una forte riduzione della densità della locale forestazione, le attività delle popolazioni alla fine hanno contribuito a un impatto ambientale destabilizzante già prima del loro esodo finale.
Chaco Canyon, un centro di complessità sociale di quasi 14.000 ettari fiorì durante l’apice della cosiddetta Cultura Chaco tra l’800 e il 140 d.C.), un periodo a cui Lentz si riferisce come la Fase Bonito. Durante la fioritura culturale, la società gerarchica era nota per elaborate attività cerimoniali, il mantenimento di rotte commerciali a lunga distanza e imponenti complessi architettonici, tra cui più di una dozzina di immense strutture che Lentz e gli archeologi chiamano “grandi case”. Una delle case, conosciuta oggi come “Pueblo Bonito“, potrebbe aver avuto oltre 600 ambienti, comprese ipogei che ospitavano più di 100 sepolture.
Ricerche precedenti hanno rivelato un sistema di comunicazioni che collega molti siti della Cultura Chaco con poco anomali allineamenti astronomici, indicando che alcune delle strutture erano orientate verso il sole del solstizio o l’inizio delle fasi lunari.
In questo contesto, gli archeologi generalmente concordano sul fatto che Chaco Canyon funzionasse contemporaneamente come un remoto centro commerciale e luogo cerimoniale per la Cultura Chaco. Fino ad ora, tuttavia, Lentz afferma che gli studi non avevano mai mostrato tracce a sostegno della gestione umana dell’ambiente precario del canyon per la vita quotidiana.
Utilizzando la tecnologia di mappatura aerea liDAR e l’analisi di varie sostanze tra cui isotopi di carbonio, polline, resti macrobotanici e composizione chimica dei suoli, il team di ricerca ha valutato ipotesi alternative relative agli impatti ambientali dei Puebloans ancestrali.
È diventato chiaro ai ricercatori che durante la lotta delle antiche popolazioni con l’ambiente imprevedibile, avrebbero mantenuto la loro società prospera per più di 1.000 anni attraverso l’agricoltura, coltivando una varietà di colture come mais, fagioli e zucca, mentre contemporaneamente sfruttando il pino locale e i boschi di ginepro per esigenze architettoniche, risorse alimentari e legna da ardere per cucinare e scaldarsi, conducendo a una grave erosione e il deterioramento dei terreni coltivati.
I ricercatori hanno individuato un graduale degrado dei boschi locali già a partire dal 600 a.C., molto prima di quanto si pensasse in precedenza e, nonostante il disboscamento, i gruppi umani di Chaco Canyon hanno sopravvissuto per quasi un millennio attraverso pratiche agricole primitive utilizzando metodi di irrigazione sfruttando l’acqua dai vicini torrenti Chaco, Escavada e Fajada Wash.
L’intensivo utilizzo dell’agricoltura e del legname locale ha cambiato il modo in cui i Puebloans mangiavano e preparavano il cibo e il continuo disboscamento degli alberi di ginepro ha ridotto ulteriormente le possibilità di sopravvivenza: l’aridità della zona, il diradamento dei sistemi radicali degli alberi che tengono in posizione il suolo, le piogge torrenziali caratteristiche hanno contribuito a generare un ambiente in continuo degrado e la successiva emigrazione delle popolazioni.
Oggi, Chaco Canyon è parco nazionale e patrimonio mondiale dell’UNESCO ed è possibile visitare i resti di questa cultura: il sito, però, accende l’ennesimo campanello d’allarme per ciò che sta accadendo al nostro pianeta più in generale oggi.
Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini
Per ulteriori info: Università di Cincinnati