CHINCHA VALLEY, PERU’, LA PRATICA POST COLONIALE DELLA RICOMPOSIZIONE DEI DEFUNTI
Un team internazionale di archeologi ha scoperto quanto gli antichi indios pre colombiani del Perù abbiano contrastato i profanatori e i distruttori delle tombe dei loro antenati durante il periodo coloniale spagnolo.
Uno studio condotto dall’Università dell’East Anglia ha analizzato quasi 200 esempi di vertebre umane, provenienti dalla Chincha Valley, risalenti al 1450-1650 d.C., il periodo storico che ha coinciso con la caduta dell’Impero inca e l’inizio della colonizzazione spagnola, un periodo turbolento di estese carestie ed epidemie che ha anche visto la diffusa profanazione delle tombe degli antenati indios da parte degli europei.
Questo trattamento particolare dei defunti non è mai stato documentato prima nella regione e il team condotto da Jacob L Bongers, archeologo della Sainsbury Research Unit dell’UEA, ha pubblicato i risultati sulla rivista Antiquity.
Secondo Bongers, i popoli andini apprezzavano l’integrità fisica e il ripristino delle salme dei defunti potrebbe essere stato un modo, per i gruppi indios, di preservare la vigoria dei resti danneggiati dei loro antenati: i risultati degli studi, infatti, suggeriscono che le vertebre infilate sulle cannette rappresentano la risposta indigena diretta e ritualizzata al colonialismo spagnolo.
I ricercatori hanno rinvenuto la maggior parte delle vertebre nelle cannette in grandi ed elaborate tombe conosciute come chullpas, sparse in tutta la regione.
La datazione al radiocarbonio suggerisce che l’infilatura delle vertebre sulle canne sia stata eseguita dopo la sepoltura iniziale: secondo i ricercatori, questa operazione veniva realizzata quando i parenti tornavano alle chullpas per ricostruire i loro morti, probabilmente dopo che erano stati danneggiati dai saccheggiatori.
Il team ha identificato 192 esempi di vertebre infilate nelle cannette e, in quasi tutti i casi, ognuno sembra essere stato realizzato con i resti di un singolo individuo, soprattutto esemplari adulti e giovani identificati grazie alle analisi del DNA isotopico e antico dei resti.
La Chincha Valley ospitò il Regno Chincha dal 1000 al 1400 d.C. stabilendo, in seguito, un’alleanza con l’Impero Inca per poi consolidarsi in esso.
L’arrivo degli europei ha accelerato un periodo di profondo cambiamento socio-politico e un declino demografico che ha visto ridursi in modo catastrofico il numero dei capifamiglia, da più di 30.000, nel 1533, a 979, nel 1583.
Secondo Bongers, la cui ricerca precedente ha documentato centinaia di tombe saccheggiate nella regione, il saccheggio delle tombe indios era diffuso in tutta la Chincha Valley nel periodo coloniale e lo scopo era quello di rimuovere corredi funerari preziosi e sarebbe andato di pari passo con gli sforzi europei per sradicare le pratiche religiose indigene e le relative usanze funerarie pagane.
L’integrità fisica dopo la morte, dunque, era importante per molti gruppi della regione e, per esempio, nelle cerimonie Inca capacocha, i bambini venivano talvolta uccisi con tecniche non sanguinolente, come lo strangolamento, l’annegamento o la sepoltura da vivi. Il vicino popolo Chinchorro sviluppò le prime tecniche conosciute per la mummificazione artificiale ma quando le mummie nelle Ande furono distrutte dagli europei, gli indios superstiti recuperarono ciò che potevano per creare nuovi oggetti rituali.
Se molte furono le indicazioni che la ricostruzione dei corpi sia stata una risposta alla profanazione da parte degli invasori coloniali, supportata dal fatto che le vertebre infilate si trovavano principalmente in tombe che erano state saccheggiate, esistono molte altre spiegazioni plausibili che non possono essere escluse.
Le vertebre infilate potrebbero essere state utilizzate per trasportare i resti dei morti nelle tombe, o come trofei o rappresentazioni di status e potere ma potrebbero anche essere state usate come una sorta di “sonagli” cerimoniali: Bongers ritiene, quindi, che la ricerca dimostra che parti del corpo hanno continuato a vivere vite sociali oltre la morte biologica.
Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini
Per ulteriori info: University of East Anglia