COME LE NARRAZIONI STORICHE DEL PASSATO POTRANNO AFFRONTARE LE NUOVE SFIDE DELL’ANTROPOCENE
Le vicende che gli storici raccontano sulla società antiche e sul cambiamento climatico dell’Antropocene assumono in genere una delle due forme: storie in cui le società subiscono un collasso catastrofico a causa del cambiamento climatico e storie in cui le società mostrano resilienza, superando i disastri climatici grazie alla durabilità delle strutture del sistema.
Un nuovo articolo pubblicato sulla rivista Annales della Cambrdge Corei discute sulle sfide metodologiche della collaborazione tra le scienze naturali e le discipline umanistiche, sostenendo che, per affrontare le sfide dell’Antropocene (l’epoca geologica attuale), la storia ambientale deve andare oltre i tropi del catastrofismo e della resilienza per presentare una pluralità di storie.
Poiché gli impatti dell’attuale cambiamento climatico sui sistemi agricoli, gli insediamenti umani e la biodiversità diventano sempre più evidenti, comprendere i modi in cui il clima e le società hanno interagito in passato non è mai stato così importante. Sfortunatamente, sostengono gli autori del nuovo articolo, i due principali tropi della storia del cambiamento climatico, pur adottando approcci molto diversi, presentano ancora un quadro limitato.
Fino a poco tempo fa, la retorica delle discussioni sul cambiamento climatico e sulla storia è stata in gran parte catastrofica e tragica, ritraendo le società umane come vittime di un clima rigido. Queste storie hanno lo scopo di attirare l’attenzione dei lettori e motivarli all’azione.
La principale alternativa alla narrazione della catastrofe sono le storie di resilienza, che evidenziano la perseveranza delle società di fronte al clima tiranno e le storie più ottimistiche sottolineano l’adattamento umano ad ambienti avversi. A differenza delle storie di catastrofe che hanno lo scopo di motivare un’azione radicale, le storie di resilienza sono filosoficamente conservatrici, servono a rafforzare e difendere lo status quo.
Secondo Adam Izdebski, responsabile del gruppo di ricerca Paleo-Science and History presso il Max Planck Institute for the Science of Human History, come genere umano, non dovremmo rifiutare il catastrofismo o la resilienza ma piuttosto realizzare i punti di forza e di debolezza di ciascuno e inventare nuovi tropi in grado di raccontare una storia socialmente impattante e intellettualmente perspicace delle interazioni uomo-clima.
Per fornire agli storici la possibilità di condurre ricerche interdisciplinari, il nuovo articolo sull’Antropocene include un’introduzione approfondita alle prove paleoambientali, compreso il modo in cui utilizzare la diversità dei dati scientifici e la questione chiave dell’approssimazione del tempo e dello spazio.
Dopo la discussione delle considerazioni metodologiche, gli autori presentano studi di casi che sviluppano narrazioni storiche utilizzando fonti testuali e prove scientifiche naturali.
Uno di questi casi di studio esamina il cosiddetto “evento 536“, il primo di una serie di eruzioni vulcaniche nel sesto secolo che si sostiene abbia avuto un effetto enorme sulla storia sociale e politica di gran parte dell’emisfero settentrionale. Negli anni ’80, gli scienziati hanno iniziato a collegare le prove dei carotaggi di ghiaccio e anelli degli alberi che suggeriscono la variabilità del clima alle registrazioni scritte dell’evento e delle sue conseguenze.
Uno di questi testi, scritto dal funzionario del governo italiano Cassiodoro, sembra supportare l’idea che gli impatti dell’eruzione furono diffusi e di lunga durata. Cassiodoro descrive un anno di tempo fuori stagione sotto un sole verde e racconta come i granai statali dovettero essere aperti per scongiurare la carestia a causa dei fallimenti dei raccolti.
Sebbene questo racconto sembri supportare la posizione massimalista, l’analisi testuale rivela che i disastri descritti da Cassiodoro, e talvolta anche il linguaggio esatto usato per descriverli, possono essere trovati in precedenti resoconti romani di anomalie meteorologiche. Queste allusioni a testi precedenti servono come monito contro il prendere il racconto per valore nominale e possono persino suggerire gli sforzi di Cassiodoro per trasformare eventi senza precedenti nella vita dei suoi contemporanei in qualcosa di familiare, per il quale la letteratura romana aveva già fornito un quadro.
Kevin Bloomfield, responsabile del caso di studio dell’evento 536, ritine quanto sia possibile confrontare strategie retoriche simili nei dibattiti odierni sul cambiamento climatico: aggiunge, inoltre, che il primo passo è demistificare cosa farà esattamente il cambiamento climatico. Fornire confronti con fenomeni familiari del passato fa sembrare la minaccia più reale, più bisognosa di azione, rispetto a una descrizione come ‘37,7 gradi in stato “monumentake”…
Con la proliferazione di approcci paleoscientifici allo studio del passato, che vanno dalle malattie umane e la migrazione al paesaggio e ai cambiamenti climatici, la storia umanistica dell’Antropocene si presenta con una ricchezza di nuove prove da incorporare nelle narrazioni costruite del passato. Il nuovo documento presenterebbe, dunque, approcci pratici per l’integrazione delle scienze naturali e umanistiche e sostiengono con l’Antropocene che richiedono nuove narrazioni storiche sviluppate attraverso indagini interdisciplinari del passato.
Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini
Per ulteriori info: Max Planck Institute of Geoantropology .
Prof. Mancini, bisognerebbe che il Governo si rendesse conto che Ella DOVREBBE essere nominato RAPPRESENTANTE ITALIANO nell’organismo che sta studiando la mutazione del clima e del genere umano!!!!!
Carissimo Gian Carlo, Lei è sempre troppo gentile. Mi limito a riportare cronache, narrazioni e studi di personaggi ben più qualificati di me. Grazie per i Suoi puntuali commenti. Un carissimo saluto