sabato, 23 Novembre 2024
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RISULTATI DELLE RECENTI CAMPAGNE DI SCAVO A LAGASH, IRAQ MERIDIONALE

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Con l’ausilio di strumenti ad alta tecnologia, un team di archeologi dell’Università della Pennsylvania e dell’Università di Pisa guidati da Holly Pittman, docente nel Dipartimento di Storia dell’Arte e curatrice della sezione del Vicino Oriente al Penn Museum, nonché direttrice del progetto, è recentemente tornata a Lagash, nell’Iraq meridionale, per un’intensa quarta stagione, individuando i resti di un quartiere urbano popolare di una delle prime città del sud-ovest asiatico.

Un ambiente adibito a “taverna”, completa di panche, con una sorta di frigorifero in argilla, chiamato “zeer”, una fornace e numerosi resti di recipienti di stoccaggio, molti dei quali contenevano ancora cibo, risalenti a circa il 2700 a.C. offrono un sguardo sulla vita normale di circa 5.000 anni fa in questa parte del mondo, un’area che i ricercatori della Penn hanno studiato già dagli anni ’30, quando il Penn Museum ha collaborato con Leonard Woolley e il British Museum per scavare l’importante sito archeologico di Ur a circa 50 chilometri a sud-ovest.

Nel 2019, la prima campagna archeologica dopo i gloriosi scavi novecenteschi è stata effettuata a Lagash e, nonostante una breve pausa dovuta alla pandemia, il progetto ha avuto un vero slancio, con quattro stagioni sul campo completate.

Fotografia con droni, termografia, magnetometria, campionamento microstratigrafico, da cui sono stati estratti nuclei di sedimenti che riflettono millenni di sviluppo ecologico, sono le nuove tecnologie portate nelle nuove campagne.

La Pittman conferma che, con più di 450 ettari, Lagash sia uno dei più grandi siti nel sud dell’Iraq durante il III millennio a.C. Il centro urbano aveva grande importanza politica, economica e religiosa che aveva facile accesso a terre fertili e controllo su individui dediti alla produzione artigianale intensiva.

Durante il IV millennio a.C., la foce dei grandi fiumi nel Golfo Persico si trovava circa 250 chilometri più a nord-ovest di quanto non sia oggi e vicino a quell’antica costa si trovavano i tre insediamenti di Girsu, Lagash e Niĝin che erano le più importanti città-stato conosciute. Per più di 150 anni, i tre centri furono unificati come un’unica entità politica potente e ricca.

Inizialmente, gli archeologi credevano che il sito di Girsu  fosse  Lagash ma, nel 1953, un’iscrizione superficiale rivelò la vera ubicazione dell’antica città, in un punto chiamato Tell al-Hiba, dal nome del vicino villaggio. Negli anni ’60 e ’70, un team guidato da Donald Hansen dell‘Institute of Fine Arts della New York University e Vaughn Crawford del Metropolitan Museum of Art ha completato cinque stagioni di scavo sul campo nell’antica centro concentrandosi sull’architettura monumentale e amministrativa.

La guerra Iran-Iraq pose fine a quel lavoro e, a parte un’indagine dell’UCLA nel 1984, il sito rimase intatto fino al 1990, quando Hansen e colleghi tornarono. Quel gruppo includeva la Pittman, allora ex studente di Hansen. Dopo quell’unica stagione, tuttavia, la prima guerra del Golfo interruppe nuovamente la ricerca. Sebbene la Pittman abbia continuato a lavorare in Medio Oriente per diversi decenni successivi, inclusa l’analisi e la pubblicazione dei risultati del lavoro sul campo a Lagash di Hansen, dopo la sua morte, solo nel 2017 che si è rivolta allo State Board of Antiquities and Heritage (SBAH) in Iraq per un permesso per riprendere il lavoro nel sito.

In seguito Zaid Alrawi, originario dell’Iraq, che aveva recentemente completato un dottorato di ricerca. in archeologia del paesaggio alla Penn State University conobbe la Pittman e organizzarono le campagne, con numerosi altri colleghi, a partire dal dicembre 2018 in una prima stagione di straordinario successo. Nell’ultima stagione, Sara Pizzimenti dell’Università di Pisa è diventata direttrice di campo, assumendo l’incarico durante l’ultima stagione, collaborando con la Pittman e gli altri.

L’insediamento di Lagash si estende per circa cinque miglia da nord a sud e per poco più di un chilometro di larghezza, rendendolo uno dei più grandi siti archeologici della Mesopotamia meridionale. Appena sotto la sua superficie si trovano tracce realtive all’insediamento noto come il Primo periodo dinastico, un periodo compreso tra il 2900 e il 2300 a.C., quando molti centri urbani trovarono la loro prima forma.

Durante la prima stagione, sono state realizzate immagini di droni e indagini di magnetometria che mostravano il layout del sito. Nella parte meridionale, il team ha notato tracce di antiche combustione e distruzione sui resti di una torre e resti di “fuoco” con materiali di scarto da produzione di ceramiche. Sono venuti alla luce ben sei fornaci per ceramica realizzate in fosse ovali di mattoni di fango cotti. Nessuna traccia della parte superiore ma si presume fossero realizzate con volta a cupola, composte sempre da mattoni di fango e argilla come intonaco. Gli scavi recenti hanno rivelato altre cinque fornaci.

Secondo gli archeologi, la numerosa presenza di fornaci a Lagash indica una significativa produzione di ceramica. Secondo la Pittman, le fornaci sono probabilmente sopravvissute per migliaia di anni, e anche così vicine al recente piano di calpestio, perché sono state indurite dal fuoco. È sempre più chiaro che la maggior parte delle strade, dei vicoli e degli edifici circostanti siano antecedenti alle fornaci, con i millenni di agenti atmosferici e alluvioni che abbiano cancellato tutto quanto fosse circostante al loro uso.

Un ambiente aperto appena ad ovest di queste fosse, probabilmente utilizzato anche da quegli stessi ceramisti, conteneva panche e un tavolo. In un altro cortile adiacente, il team ha scavato quella che sembra un’abitazione domestica che aveva una cucina con enormi contenitori di argilla, ciotole con resti di cibo e una pietra per macinare sul pavimento.

Oltre la mera ricerca archeologica, il team si occupa anche comprensione dell’antico ambiente circostante Lagash. Gli studiosi hanno ipotizzato che una volta la città fosse molto più vicina al Golfo Persico. Nel 2019, sono stati condotti i primi studi geoarcheologici a Lagash, utilizzando un dispositivo portatile chiamato coclea per raccogliere, tramite carotaggi, circa 12 metri di sedimenti da 12 località.

Dai campioni, studiati in collaborazione con la National Ocean Sciences Accelerator Mass Spectrometry  presso la Woods Hole Oceanographic Institution, inclusa la misurazione della composizione elementare di un campione con fluorescenza a raggi X, nonché le sue firme isotopiche di carbonio per differenziare le fonti di sedimenti a valle, oltre a indagare su organismi antichi come  foraminiferi  e  ostracodi , che riflettono condizioni fresche, salmastre e marine, è emerso che nel Pleistocene, nel’Iraq meridionale i fiumi che scorrevano veloci e incidevano profondamente i territori del loro passaggio. Inoltre, durante il periodo di massimo splendore di Lagash, quando il cuore del delta del Tigri-Eufrate migrò verso sud-est, il clima passò da più umido a più secco, ponendo una sfida crescente per la popolazione locale.

Ogni scoperta, dunque, rivelano un altro strato del paesaggio e le possibili conseguenze sulla popolazione dell’antica Lagash: grazie a quella che Alrawi chiama un approccio di scavo “moderno”, non si realizzeranno scavi per individuare grandi tell (tumuli) aspettandosi di trovare un vecchio tempio o resti di sontuosi palazzi, ma tecniche e protocolli con alta priorità scientifica necessari a produrre informazioni importanti per colmare le lacune di conoscenza.

Per la scoperta di uno degli ultimi ambienti, la cosiddetta “taverna”, il Lagash Archaeological Project utilizza un approccio sostenuto dai colleghi di Pisa che hanno utilizzato una tecnica per strati microstratigrafici, sottili lenti orizzontali in un’ampia fascia, come fare un intervento chirurgico molto accurato, per catturare migliaia di nuove sbalorditive informazioni.

Pittman e i suoi colleghi, nonostante la varietà di manufatti e informazioni a mostra il passare del tempo archeologico, continueranno ancora a scavare e indagare, nonostante sia stato molto già esplorato, affinché il desiderio di imparare non tramonti mai!

 

Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini

Per ulteriori info: Penn State

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