martedì, 3 Dicembre 2024
Archeologia&Dintorni

L’AUTOEROTISMO NELL’ANTICA GRECIA E NON SOLO…

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Attenzione!! La lettura di questo articolo potrebbe urtare la sensibilità di chi legge a causa del tema trattato.


Per alcune civiltà, l’autoerotismo e la masturbazione erano atti divini di creazione: i Sumeri credevano che fosse il dio dell’acqua, Enki, a creare i fiumi Tigri ed Eufrate con un semplice atto di eiaculazione; gli antichi egizi, invece, vedevano l’orgasmo divino come una sorta di Big Bang, poiché fu la mano indaffarata di Atum a svolgere un ruolo cruciale nella creazione dell’universo e delle prime due divinità, Shu, il dio dell’aria, e Tefnut, la dea dell’umidità.

La mitologia narra che Atum decise di porre fine alla sua solitudine spargendo il suo seme divino nel vuoto circostante. La sua presenza si manifestava con l’inondazione del Nilo, attribuita alla frequenza delle sue sacre giaculatorie. Per questo, i faraoni, gli intermediari tra gli umani e gli dei, si masturbavano rispettosamente nel Nilo ogni anno durante la festa di Nim per commemorare l’evento e garantire buoni raccolti.

Per le due civiltà l’autoerotismo, dunque, era considerato naturale e, in tempi di solitudine, un sano sostituto delle normali pratiche sessuali. I Sumeri credevano persino che la masturbazione fosse eccellente per aumentare la potenza.

L’autoerotismo era considerata in modo totalmente diverso dai Greci.

Nell’antica Grecia, non c’era vergogna nel chiedere servizi alle prostitute, considerato un aspetto chiave per certificare la propria mascolinità. Non c’era nemmeno disonore nell’essere coinvolto in relazioni extraconiugali, come non c’era vergogna nell’essere eccitati da un altro uomo, soprattutto se era un bel ragazzo.

Tuttavia, la masturbazione, quell’attività apparentemente innocua, era considerata incivile in Grecia, adatta solo agli “altri”! Esiste un accenno nella terminologia sul motivo per cui la pratica è stata considerata indecente: il verbo più comunemente usato per la masturbazione è dephesthai , ammorbidire.

Per la maggior parte dei greci, la sessualità maschile riguardava essenzialmente le dinamiche di potere e, a letto, tutto si riduceva all’attivo contro il passivo. Giocare con se stessi era visto come un atto di passività, abbastanza buono per gli uomini di basso rango e il resto dei “miserabili” privi di enkrateia, l’autocontrollo. Un membro rispettato della società, nel senso di un “vero uomo”, non poteva che svolgere un ruolo attivo a letto, quello del “penetratore”; quindi, masturbarsi (o eseguire fellatio o cunnilingus) era visto come un atto di autoevirazione.

La figura mitologica del satiro in parte uomo e in parte animale divenne la personificazione dell’orrendo masturbatore traboccante di indomita e bestiale energia sessuale. Il suo menu sessuale includeva masturbazione quotidiana, stupro, sodomia, zoofilia e necrofilia occasionali. A differenza dell’uomo greco ideale, spesso raffigurato con un pene di modeste dimensioni e solitamente flaccido, l’immagine della raffinatezza, il satiro era rappresentato con un pene consistente, spesso sproporzionatamente itifallico, l’incarnazione della volgarità e dell’animalità sfoggiata dai barbari.

Secondo Kelly L. Wrenhaven, uno dei principali ricercatori sulla schiavitù e la sessualità nell’antichità classica, i grandi genitali potrebbero essere visti in vari modi, animaleschi, barbari, inutili o brutti, e potrebbe, a sua volta, essere associato a una mancanza di intelligenza. In breve, i genitali sovradimensionati non erano in linea con l’ideale estetico o morale, ed ecco che nani e anziani potrebbero essere mostrati con genitali sovradimensionati.

Mettendo da parte le dimensioni, un uomo realizzato doveva avere il pieno controllo di se stesso e non soccombere alle sue “disfunzioni fisiche”. La logica, dunque, era: perché avrebbe dovuto masturbarsi se avesse avuto accesso a sua moglie, alle sue amanti, alle prostitute e agli schiavi, insomma, a tutti quelli che erano considerati gli strumenti di vita? Si pensava, infatti, che gli schiavi, che erano sessualmente oggettivati ​​e non avessero autonomia sul proprio corpo, eccellessero nell’autoerotismo  a causa della mancanza di partner sessuali disponibili. Nella commedia greca, la masturbazione era quasi interamente il loro dominio.

Il riferimento più lungo alla masturbazione si trova nella commedia I Cavalieri di Aristofane, quando uno degli schiavi protagonisti spinge un altro schiavo a masturbarsi per darsi coraggio. Alla fine della scena, il primo schiavo si lamenta per essersi danneggiato il prepuzio…

Molte sono le rappresentazioni, quelle di uomini greci che si masturbano raffigurati principalmente come giovani di sangue, senza barba, che sono stati perdonati per la loro giovanile mancanza di disciplina e autocontrollo. Meno sono le immagini sopravvissute che mostrano uomini maturi in azione, e in un caso particolare, due simposiasti che si masturbano mentre due cani accovacciati stanno espellendo mucchi di escrementi proprio accanto a loro. Il messaggio non voleva solo essere divertente ma anche chiaro: la masturbazione e la defecazione sono ugualmente disgustose.

La masturbazione è stata attribuita anche alle donne, ritenute inclini a comportamenti non ideali e prive di autocontrollo. La letteratura e le immagini greche descrivevano comunemente le donne come dipendenti dal sesso, disposte a usare qualsiasi mezzo per soddisfare i loro appetiti sessuali. Quindi, gli olisboi, i dildo antichi, sono quasi interamente associati a loro e, se dovessimo fidarci di fonti antiche, erano più popolari tra mogli e prostitute.

Non è certo, però, quanti olisboi siano stati utilizzati per il proprio piacere e quante per il piacere dei propri mariti e clienti “passivi” che si sottoponevano alla penetrazione anale. Per quanto riguarda le rappresentazioni visive, la maggior parte delle immagini che ritraggono la masturbazione femminile o le allusioni ad essa sembrano rientrare nella categoria della costruzione di fantasia per il bene dello spettatore maschio, poiché, come osserva Wrenhaven, questo tipo di immagini si trova su vasi da simposi destinati a un frequentatore maschile.

Tuttavia, la sessualità femminile era pericolosa e, poiché non ci si poteva fidare delle donne, dovevano essere strettamente controllate dai loro tutori per il loro scopo principale: la riproduzione e, forse, un dildo sembrava un buon compromesso alla pratica dell’autoerotismo.

Il filosofo ateniese Platone non nascose la sua disapprovazione: per lui, l’autoerotismo era una malattia depravata che doveva essere trattata allo stesso modo dell’incesto ed evitare di sprecare il prezioso seme. Inoltre, riteneva che la perdita del seme potesse indebolire il corpo dell’uomo e la masturbazione era percepita come uno spreco di energia vitale.

Uno dei rari sostenitori dell’autoerotismo fu il filosofo greco del IV secolo a.C. Diogene di Sinope per il quale la masturbazione non era né vergognosa né una questione privata. Il filosofo “incolpò” il messaggero degli dei, Hermes, per aver familiarizzato con l’umanità attraverso la masturbazione. La mitologia narra che Hermes ebbe pietà di suo figlio caprino Pan, che era stato respinto da Echo, così lo introdusse alla pratica. L’estatico Pan, a sua volta, condivise la conoscenza con altre anime sole, i giovani pastori dei boschi che frequentava.

Quanto a Diogene, il pensatore ribelle, non solo mangiava, urinava e si masturbava in pubblico, ma anche “intratteneva” la gente con altri atti sessuali, che gli valsero il soprannome di kuōn, cane.

Quello che all’inizio doveva essere un insulto, divenne un’etichetta: tutti i suoi seguaci furono conosciuti come “cani”, kunikoi, cinici. Il comportamento da cane o semplicemente la mancanza di inibizione erano visti come un attacco diretto ai valori prestabiliti dalla società, in cui il rifiuto delle norme e delle convenzioni sociali era al centro del movimento cinico: il corpo diventava uno strumento per manifestare disapprovazione e il filosofo usò il suo corpo per insegnare ai suoi studenti a non provare vergogna per nulla di umano, a cominciare dalle funzioni corporee.

Con l’avvento della Cultura romana poco o nulla cambiò sul fronte dell’autoerotismo. La masturbazione era ancora vista come un’attività vergognosa per coloro che non avevano uno status e, fondamentalmente, qualsiasi tipo di attività sessuale che non comportasse la penetrazione era considerata incivile.

I muri incensurati di Pompei parlano da soli a riguardo come nel caso del seguente graffito: “multa mihi curae cum [pr]esserit artus has ego mancinas, stagna refusa, dabo” (CIL IV, 02066), “Quando le mie preoccupazioni opprimono il mio corpo, faccio versare alla mia mano sinistra le mie acque represse”. Perché la mano sinistra? Perché era considerato inferiore alla destra e, quindi, più adatto a un atto così volgare come la masturbazione.

Nello stesso spirito, Gaio Lucilio, primo satirico romano del II secolo a.C., è autore di un poema allegro in cui il ruolo principale è quello interpretato dal pene, la cui fidanzata, la mano sinistra, lo conforta asciugandogli “lacrime”… (Frammento 335). Anche Marziale, poeta vissuto tra il I e il II secolo d.C., ammette di masturbarsi nonostante lo consideri volgare e degradante. In un suo epigramma. il 2.43, descrive come la sua mano non abbia altra scelta che sostituire l’oggetto del suo desiderio, un bel giovane schiavo, menzionando gli agi di cui godevano i letterati di età augustea, gratificazioni finanziarie ma soprattutto erotiche…

 

Daniele Mancini

Tradotto e rielaborato da varie voci dell’Oxford Classical Dictionary

  • Bibliografia: Kelly L. Wrenhaven, Reconstructing the Slave: The Image of the Slave in Ancient Greece, London 2013

 

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