giovedì, 24 Ottobre 2024
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COME GRECI E ROMANI CONSIDERAVANO L’INQUINAMENTO E LE LORO AZIONI DI PREVENZIONE

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Lo stato dell’ambiente e l’inquinamento che lo deteriora sono spesso al centro dell’attenzione dei notiziari e molte informazioni descrivono come la Terra sia danneggiata dagli esseri umani e molte sono le discussioni sui modi per prevenire le prossime catastrofi ambientali. Questo tipo di preoccupazioni non sono nuove e già qualche millennio fa si sviluppò la consapevolezza che gli esseri umani stavano danneggiando il mondo naturale. La letteratura greca e romana contiene molti riferimenti all’ambiente e ai danni che subiva e molte di queste intuizioni suonano vere anche oggi.

Inquinare il suolo che coltiviamo, l’aria che respiriamo e l’acqua che beviamo ha delle chiare ripercussioni e possiamo maltrattare l’ambiente solo per un certo periodo perché,  prima o poi, tornerà a presentarci il conto.

Lo scrittore scienziato e naturista romano Plinio il Vecchio, vissuto nel I secolo d.C., era preoccupato per il modo in cui gli esseri umani stavano abusando della Terra e nella sua opera intitolata Naturalis Hostoria scrisse:

«Noi inquiniamo sia i fiumi che gli elementi della natura, e rendiamo dannosa l’aria stessa che respiriamo. E non c’è ragione di credere che i veleni siano ignoti agli animali: abbiamo mostrato quali precauzioni essi prendano nella lotta con i serpenti, e quali rimedi abbiano escogitato per medicarsi dopo lo scontro. Eppure, solo l’uomo lotta con veleni non suoi. Riconosciamo dunque la colpa di noi uomini, non paghi neanche dei veleni che si trovano in natura» (N. H., XVIII, 3-4).

Pensava al pianeta come a qualcosa che l’umanità avrebbe dovuto proteggere piuttosto che danneggiare, perché dobbiamo la nostra esistenza a Madre Terra:

«Segue la terra, alla quale, unica tra le parti della natura, per i suoi meriti straordinari abbiamo assegnato un appellativo (che è frutto) di materna venerazione. Così quella è degli uomini, come il cielo è della divinità, (lei) che ci accoglie alla nascita, una volta nati ci nutre e dopo che siamo stati messi al mondo una sola volta anche ci sostiene  sempre, infine abbracciandoci in grembo, ormai abbandonati dalla restante natura, allora in particolare come madre ricoprendoci, per nessun merito più sacra che per quello grazie al quale rende sacri anche noi, sostenendo anche monumenti e titoli e prorogando il nostro nome ed estendendo il ricordo contro la brevità dell’esistenza, il cui nume, ultimo per coloro che sono ormai inesistenti, auguriamo adirati che sia pesante, come se non sapessimo che costei è la sola che mai si adira con l’uomo» ( N. H. II 154)

Due millenni dopo, le parole di Plinio sembrano direttamente rilevanti per noi: nel mondo moderno, la preoccupazione per la salute dell’ambiente è diventata uno degli argomenti politici più scottanti. Ad esempio, un sondaggio condotto lo scorso anno su circa 20.000 giovani in Australia ha mostrato che il 44% ritiene che l’ambiente sia la questione più importante del nostro tempo.

Gli scrittori romani scrissero come i soldati alla fine di una missione avvelenavano l’acqua e l’aria attorno ai loro accampamenti e lo scrittore militare Flavius ​​Renatus Vegetius, vissuto intorno al IV e V secolo d.C., osservò:

«Se durante la stagione autunnale e quella estiva una massa di soldati rimane di stanza troppo a lungo negli stessi luoghi, a causa della contaminazione delle acque (ex contagione aquarum), della ripugnanza dello stesso odore e dell’aria guasta (aëre corrupto), si diffonde per via delle abbeverate infette una malattia dannosissima che non può essere evitata in altro modo se non mediante un frequente trasferimento dell’accampamento» (Veget. Epit. III 2, 12).

Anche gli scrittori romani ebbero molto da dire sull’inquinamento del fiume Tevere che attraversa Roma. Il biografo Svetonio, nato intorno al 70 d.C.,  racconta che il fiume era stato “riempito di detriti e ristretto da edifici sporgenti” prima che l’imperatore Augusto (63 a.C.-14 d.C.) intervenisse per bonificarlo.

Le cattive politiche avevano inquinato le acque del fiume; ad esempio, l’imperatore Nerone (37-68 d.C.) scaricò enormi quantità di grano marcio nel fiume e il poeta romano Giovenale (vissuto tra I e II secolo d.C.) si riferiva al Tevere come a una “fogna zampillante”, mentre il medico Galeno (129–216 d.C.) disse che il Tevere era così inquinato che i pesci pescati lì non erano sicuri da mangiare.

I Greci e i Romani introdussero diverse misure per prevenire o ridurre i danni ambientali. Nel 420 a.C., ad esempio, gli Ateniesi introdussero una legge per proteggere il fiume Ilisso deliberando che fosse proibito immergere le pellicce [degli animali] nel fiume, sopra il santuario di Eracle, e conciarle, come era proibito gettare il residuo del lavaggio nel fiume.

Fiume Ilisso

I ricercatori moderni pensano che questa misura avrebbe potuto aiutare l’Ilisso a rimanere pulito perché alcuni autori che scrissero nel IV secolo a.C., dopo l’introduzione della legge, descrivono l’Ilisso come un fiume pulito e bello.

Altre misure per ridurre l’inquinamento includevano il divieto di defecazione e minzione in pubblico. Erano comuni anche i divieti di lavare i vestiti o di gettare rifiuti nei fiumi ma è improbabile che il pubblico rispettasse sempre queste restrizioni.

Alcuni governanti tentarono anche di realizzare opere pubbliche, come la costruzione di fognature e acquedotti, per ridurre l’inquinamento. Ad esempio, l’imperatore Nerva , che regnò dal 96 al 98 d.C., intraprese una serie di progetti di costruzione per rendere Roma più pulita e salubre. Sesto Giulio Frontino (35–103 d.C.), direttore degli acquedotti di Roma, racconta che grazie a Nerva l’aspetto della città fosse pulito e cambiato, l’aria più pura e le cause che rendevano “l’atmosfera malsana”, che in passato davano all’aria della città una fama così cattiva, sono state rimosse.

Tra la fine del I o l’inizio del II secolo d.C., l’aristocratico e giurista romano Plinio il Giovane (61/62–112 d.C.) scrisse alcune lettere all’imperatore Traiano, che regnò dal 98 al 117 d.C. e in una di queste si lamentava di un problema di salute pubblica nella città di Amastris, nell’odierna Turchia: Plinio conferma che tra le caratteristiche principali di Amastris, in una lunga strada di grande bellezza scorre quello che viene chiamato un ruscello, ma è in realtà una fogna a cielo aperto, un disgustoso pugno nell’occhio che emana un fetore nocivo da coprire. L’imperatore rispose che era felice che ciò fosse fatto:

Questa elementi mostrano come le culture antiche erano consapevoli che la salute della terra, dell’aria e dell’acqua fosse interconnessa con la salute umana e se l’ambiente circostante è in uno stato malsano, questo è dannoso anche per la salute e il benessere della popolazione.

Questo messaggio è valido ancora oggi per noi Sapiens più moderni e mentre l’umanità è alle prese con molteplici crisi ambientali e  vari tipi di inquinamento  vale la pena riflettere su questa conoscenza secolare.

 

Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini

Per ulteriori info;  The Convesation

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