DIVINITA’ E FARAONI NELLA VALLE DEI RE – seconda parte
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Buona lettura.
Anubi, rappresentato come un ibrido tra sciacallo e cane[9], precedette Osiride quale principale dio funerario degli Egizi. La sua prima associazione con i defunti può essere connessa con i cani che si cibavano di rifiuti violando le tombe poco profonde del deserto egiziano. Il pelo è solitamente nero, riflettendo la connessione sia con la morte e la putrefazione, sia con la fertilità, essenziale alla resurrezione.
Le preghiere d’offerta dell’Antico Regno erano indirizzate molto spesso ad Anubi, che compare regolarmente nei Testi delle Piramidi in associazione con il funerale del re. Uno dei suoi epiteti più noti era “Colui che sta nel luogo dell’imbalsamazione”, in riferimento al suo ruolo di divinità principale della mummificazione. Inoltre era conosciuto come “Signore della Terra Consacrata “, il deserto in cui i morti erano sepolti e come “Colui che sta sulla sua montagna sacra”, forse un’immagine dello sciacallo che vagava per le desolate montagne che proteggevano le antiche necropoli[10].
La sua discendenza varia da mito a mito. Nei periodi tardi il suo culto venne fuso con quello di Osiride e Anubi divenne noto quale ultimo figlio del dio. Nei Testi dei Sarcofagi è alternativamente figlio di una dea vacca chiamata Hesat e della felina divinità Bastet. Era la divinità principale di una regione dell’Egitto centrale la cui capitale era nota come Cynopolis (“Città dei cani”) dai Greci, ma era adorato in tutto l’Egitto. Ebbe una propria cappella nel tempio di Hatshepsut a Deir el-Bahari[11].
La tomba di Amenhotep III introduce Nut, dea del cielo, nel repertorio delle scene che dominano un lato del pozzo, mentre sul lato opposto Hathor capeggia altre divinità. Entrambe le divinità femminili abbracciano benevolmente il re e lo accolgono ringiovanito nell’Aldilà.
Nut era la dea principale del cielo, personificazione della volta celeste (che compare nel suo geroglifico). Era figlia della seconda generazione di dei: il dio creatore, Atum-Ra, generò una figlia, Tefnut (umidità), e un figlio, Shu (aria); Nut e il fratello Geb, dio della terra, furono la prole di tale unione. Nut e Geb accoppiandosi diedero alla luce Osiride, Iside, Neftis e Seth[12].
Nut era collegata in particolare alla resurrezione e alla rinascita. Nel mito che raggiunse la forma più completa nei Libri del Cielo inghiottiva il disco solare ogni sera per poi partorirlo la mattina. Alcuni egittologi pensano che la dea fosse un incarnazione della Via Lattea, menzionata nella Formula 176 del Libro dei Morti. Spesso è ritratta come una donna con braccia e gambe allungate e uno studioso ha osservato che già in Epoca Predinastica il cielo prima dell’alba, al solstizio d’inverno, sarebbe stato raffigurato in questa forma. Come Hathor, Nut può essere identificata con la Vacca Celeste. Spesso appare sui coperchi interni dei sarcofagi, rappresentando il cielo e garantendo la resurrezione del morto, il quale attraverserà il suo corpo per rinascere[13].
La decorazione della tomba di Tutankhamon è anomala (nella foto), poiché solo la camera funeraria è dipinta, in particolare con scene relative al rito funebre. Su una parete, Nut e Osiride accolgono il re; sulla parete opposta, Anubi e Iside lo accompagnano nella vita nell’Aldilà.
Iside compare ancora sulle pareti del pozzo nella tomba di Horemheb, insieme al figlio Horus[14], a Osiride, Anubi e Hathor. Qui, per la prima volta, il re è attivo e offre vino ad alcune di queste divinità. Rappresentata sia con un trono sulla testa[15], sia come Hathor, con una lunga parrucca sormontata da un disco solare con corna, Iside vanta alcuni epiteti propri di Hathor, come “Signora di Cielo” e “Signora dell’Occidente tebano”. Spesso è difficile distinguere queste due dee senza un testo geroglifico loro associato contenente i rispettivi nomi. Iside non compare nei documenti storici prima della V Dinastia e non ci è stato tramandato nessun luogo di nascita o di sepoltura di questa dea.
Tuttavia è indubbio che fosse molto importante fin dai tempi antichi, tanto che è citata oltre 80 volte nei Testi delle Piramidi e in epoca tarda divenne una delle più venerate divinità egizie, sincretizzata con molte altre dee[16].
Nella sua forma principale, Iside era sorella e moglie di Osiride e madre di Horus. Quando quest’ultimo era bambino, si nascose con lui nelle boscaglie di papiro nel Delta del Nilo, proteggendolo e guarendolo quando venne ferito. Grazie all’associazione del re vivente a Horus, Iside fu considerata come madre e protettrice del monarca. Poiché il suo nome è scritto con l’immagine di un trono, qualcuno ha suggerito che personifichi il potere relativo al rango di re. Uno degli attributi principali di Iside è quello di compiere magie.
Con la sorella Neftis, Iside fu responsabile del recupero delle parti smembrate del corpo del marito assassinato e della loro ricomposizione, in modo che egli potesse ricevere adeguata sepoltura. Perciò compare spesso con Neftis accanto alla bara di Osiride o dietro il suo trono. Presso gli ingressi delle tombe dei Ramessidi le due dee sono rappresentate accanto al dio sole sotto forma di disco, in parte un’allusione all’unione di Osiride con il dio sole[17].
Un altro dio rappresentato per la prima volta nella tomba di Horemheb fu Harsiese, figlio di Iside e di Osiride, che costituisce un aspetto di Horus, il dio del cielo a testa di falco, la principale divinità connessa con la regalità. Originariamente divinità del sole e del cielo, il suo nome significa il “Distante” o “Colui che sta in alto”. Il suo occhio destro era il sole e quello sinistro la luna; le ali erano il cielo e le macchie sulle piume le stelle.
A lui era consacrato uno dei luoghi di culto più antichi in Egitto, Hieraconpolis. A un certo punto Harsiese fu identificato con il dio del cielo Horus e rappresentato come bambino o come uomo a testa di falco. Harsiese porta spesso la doppia corona, che simboleggia il suo ruolo di sovrano sull’Egitto unificato. Nelle decorazioni delle tombe reali è frequentemente raffigurato mentre accompagna il faraone a incontrare la madre o il padre nell’Aldilà[18].
Horus ebbe quattro figli, che compaiono per la prima volta nei Testi delle Piramidi nell’atto di aiutare il re defunto ad ascendere al cielo. Dal Nuovo Regno, il loro ruolo principale fu quello di proteggere le viscere dei defunti. Non ricorrono spesso nelle decorazioni delle tombe reali, ma sono visibili nella tomba di Ay, risalente alla fine della XVIII Dinastia.
Ptah, patrono degli artigiani e nume tutelare di Menfi, compare nella tomba di Horemheb con il figlio Nefertum. Molto probabilmente, per la sua associazione con la creatività e la produzione di oggetti quali statue e rilievi, Ptah divenne un importante dio creatore, con una sua complessa mitologia secondo la quale aveva realizzato il mondo con il pensiero e la parola. Divinità originariamente non legata ai riti funerari, Ptah assunse poi gli aspetti di Tatenen, dio della terra adorato a Menfi, e di Sokar, un’altra divinità funeraria della regione menfita.
Quale Ptah-Tatenen o Ptah-Sokar-Osiride, contribuiva a governare il regno dei morti. Era inoltre essenziale al rituale dell’apertura della bocca, eseguito durante il funerale per preparare la mummia o la statua del defunto a operare nella vita nell’Aldilà[19].
E significativo che Ptah sia rappresentato avvolto in bende di mummia, da cui emergono soltanto la testa e le mani. Sul capo indossa una cuffia aderente e in mano stringe lo scettro was, simbolo di dominio, il pilastro djed, che significa stabilità o eternità, e il segno della vita ankh.
— CONTINUA —
Daniele Mancini
Note e approfondimenti bibliografici:
[9] Anche come un essere umano con testa di sciacallo
[10] ROMER, J., La Valle dei Re, MILANO, 1981, p. 106
[11] HAWASS, Z., LeTombe Reali di Tebe, NOVARA, 2006, p. 81
[12] WEEKS, K. R., (a cura di), La Valle dei Re. Le Tombe e i Templi funerari di Tebe Ovest, VERCELLI, 2001, p. 127
[13] HAWASS, 2006, p. 82
[14] Horus è qui nel suo aspetto di Harsiese, “Horus figlio di Iside”
[15] Una abbreviazione del suo nome in geroglifici
[16] ABITZ, F., Konig und Gott. Die Gotterszenen in den agyptischen Konigsgrabern von Thutmosis IV bis Ramses III, WIESBADEN, 1984, pp. 49-55
[17] HAWASS, 2006, p. 84
[18] REEVES, N., WILKINSON, R.H., The Complete Valley of the Kings, LONDRA, 1996, pp. 38-39
[19] WEEKS, 2001, p. 128
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