NUOVI STUDI SUL CALCESTRUZZO ROMANO
Un team di ricercatori del Department of Energy’s Lawrence Berkeley National Laboratory (Berkeley Lab) ha utilizzato i raggi X per studiare alcuni campioni di calcestruzzo romano proveniente da un antico molo e da alcuni frangiflutti del porto di Portus Cosanus (nei pressi di Orbetello), per conoscere le caratteristiche minerali dell’opus caementicium romano.
Il lavoro svolto presso il Berkeley Lab’s Advanced Light Source (ALS), un centro di ricerca che utilizza i raggi X per emettere radiazioni elelttromagnetiche di sincrotone, ha scoperto che i cristalli di tobermorite alluminosa, un minerale stratificato presente nei residui di calce, hanno svolto un ruolo fondamentale nel rafforzamento del calcestruzzo. Il nuovo studio, pubblicato su American Mineralogist, sta aiutando i ricercatori a raccogliere dati su come e dove questo minerale si sia formato durante la lunga storia delle strutture in calcestruzzo.
Il lavoro potrebbe portare ad una più ampia adozione di tecniche di produzione moderne con meno impatto ambientale rispetto ai moderni processi di produzione del cosiddetto cemento Portland che richiedono forni a temperatura elevata. Questi contribuiscono notevolmente alle emissioni di anidride carbonica industriale, aumentano l’accumulo di gas a effetto serra nell’atmosfera terrestre. I ricercatori suggeriscono che una ricetta riformulata per il calcestruzzo romano possa essere testata per strutture sul mare utili anche alla salvaguardia dei rifiuti pericolosi.
Secondo Marie Jackson, professore di Ricerca geologica e geofisica alla University of Utah, alla ALS si mappano le microstrutture minerali di cemento per identificare i vari minerali e le complesse sequenze della cristallizzazione a scala micronica. Jackson ha affermato che la calce (conosciuta anche come ossido di calcio o CaO), esposta all’acqua di mare nella miscela del calcestruzzo romano, ha reagito con la cenere vulcanica inglobata nelle massicce strutture del porto. Precedenti studi hanno dimostrato la presenza di tobermorite alluminosa cristallizzata nei residui di calce esposta a un periodo di temperatura elevata.
I nuovi risultati suggeriscono che quando la calce era agglomerata alla pozzolana (così anche chiamata la cenere vulcanica proveniente dalla in Campania), si sviluppa un nuovo processo di crescita minerale: la crescita di tobermorite alluminosa è spesso associata a cristalli di un altro minerale, la phillipsite. I minerali formano fibre e piastre finalizzate a rendere il calcestruzzo più resistente e meno suscettibile a frattura nel tempo. Plinio il Vecchio aveva già studiato questo fenomeno e scriveva che il calcestruzzo “appena entra in contatto con le onde del mare e ne viene sommerso, diventa una sola massa di pietra impenetrabile alle onde e ogni giorno più forte”!
Infatti i Romani si sono basati sulla reazione di una miscela di calce e rocce vulcaniche con acqua di mare per produrre i nuovi cementi minerali. In rari casi questo fenomeno è riscontrabile in alcuni vulcani subacquei, come il vulcano Surtsey in Islanda, che producono gli stessi minerali presenti nel cemento romano.
L’antica ricetta romana è molto diversa da quella moderna per il calcestruzzo, conferma la Jackson; il moderno calcestruzzo è un mix di cemento Portland (calcare, arenaria, cenere, gesso, ferro e argilla) riscaldato per formare un materiale vetroso finemente macinato, con l’aggiunta dei cosiddetti “aggregati”, ovvero sabbia o pietrisco, che non sono destinati a reagire chimicamente. Se si dovessero verificare reazioni chimiche in questi aggregati, possono generarsi espansioni indesiderate nel calcestruzzo.
Per comprendere i processi chimici a lungo termine che si sono verificati nelle strutture romane, i ricercatori hanno utilizzato sottili fette del calcestruzzo analizzate con un microscopio elettronico in Germania al fine di mappare la distribuzione degli elementi nelle microstrutture minerali. Per saperne di più sulla struttura dei cristalli nei campioni, queste ricerche sono state unite alle analisi tecniche realizzate alla ALS del Berkeley Lab conosciute come microdiffrazione a raggi X e a una tecnica di indagine presso la UC Berkeley conosciuta come spettroscopia Raman .
Nobumichi Tamura, uno scienziato presso la ALS, ha affermato che la microdiffrazione a raggi X sui campioni di di calcestruzzo romano può produrre un fascio concentrato di luce a circa 1 micron o 1 millesimo di pollice utile per identificare ogni specie minerale e mapparne la loro distribuzione. Il fascio è quasi cento volte più piccolo di quello che si può trovare in un laboratorio convenzionale. La tecnica a raggi X misura un segnale medio da semplici piccoli granelli minerali, fornendo una raccolta di dati ad alta e veloce risoluzione.
Grazie a questi studi, un numero crescente di produttori di calcestruzzo sta esplorando l’utilizzo di roccia vulcanica e relativi processi a basso consumo energetico che potrebbero essere un enorme punto a favore per l’industria e l’ambiente. Affinché i composti in calcestruzzo romano ottengano più consensi, secondo la Jackson saranno necessarie strutture di collaudo per valutare le proprietà a lungo termine l’utilizzo in strutture marine e comparare come si pongono rispetto alle proprietà del calcestruzzo armato.
Personalmente ritengo che sarebbe una vittoria senza pari quella di utilizzare un materiale che non abbia un rinforzo in acciaio…
Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini
Per ulteriori info: geoscienceworld.org