LA VITA DELLE MERETRICI DI POMPEI
Tutti sanno come morì la gente di Pompei e anche su questa pagine ne abbiamo parlato spesso (si legga qui): furono sepolti sotto diverse ondate di lava incandescente fuoriuscite dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Tuttavia, da quando sono stati scoperti nel 1748, gli scavi nel sito di Pompei hanno offerto alcune preziose informazioni su come viveva la popolazione romana e, in particolar modo, di quella città. E’ fuori di dubbio che i 25 metri di lava che le hanno ricoperte, ha protetto le rovine dalle devastazioni del tempo.
Tra i numerosi affreschi riportati all’antico splendore in diversi edifici, figurano quelli presenti nelle antiche case di appuntamento, i lupanari: le raffigurazioni mostrano donne esotiche e belle che servono giovani e prestanti clienti. Gli affreschi, però, servivano a stimolare i clienti e fungevano anche da guida per quelli inesperti, una sorta di antico suggerimento ai quali gli avventori potevano fare riferimento.
La vita reale, però, era sostanzialmente diversa: le stesse attività delle prostitute non somigliavano molto a quella ritratte negli affascinanti affreschi. Marguerite Johnson, docente ordinario di lettere classiche presso la University of Newcastle, in un suo studio, scrive che i lupanari, scoperti nel corso del XIX secolo, furono immediatamente chiusi al pubblico per essere riaperti solo nel 2006.
La Johnson sottolinea che la verifica sulle strutture e sugli edifici dei bordelli fornisce validi indizi su come le donne vivevano e lavoravano. Gli affreschi le ritraggono pressoché nude o con leggero cinturino con velo da petto, distese su comodi triclinia adornati da cuscini e tessuti pregiati. Ma le celle rudimentali che sono state portate alla luce nel bordello raccontano un’altra storia.
Le celle, suggerisce la Johnson, quelle in cui le prostitute intrattenevano i loro clienti, erano estremamente piccole, offrivano solamente lo spazio necessario per contenere un letto scolpito nel muro. Alcuni bordelli più lussuosi avrebbero potuto ospitare letti di legno, ma quelli sarebbero scomparsi durante l’eruzione del Vesuvio, con il resto dell’arredo.
Le celle non avevano una porta solida ma erano probabilmente separate dal corridoio da tende. Le loro finestre, quando ne avevano, erano piccole e fornivano poca luce e aria.
Le prostitute, dunque, erano vere e proprie schiave, il che spiega le pessime condizioni in cui lavoravano e vivevano. Né i loro padroni, né il resto della città, si sarebbero mai presi cura del loro benessere, perché, nell’antica Roma, gli schiavi erano trattati come beni di proprietà. Le prostitute vivevano segregate rispetto al mondo esterno e non avevano alcuna distrazione. Gli studiosi ritengono che l’unico vezzo che era loro concesso era quello di potersi/doversi tingere i capelli nel colore biondo, per essere più esotiche e attraenti.
Non solo le donne erano schiave del sesso: esistevano anche lavoratori sessuali maschili. Questi, però, erano a disposizione non per il piacere delle donne, che dovevano intrattenere relazioni sessuali solo con i loro mariti, ma per quello di altri uomini! E’ comunque possibile che alcune donne benestanti possano aver avuto schiavi maschili del sesso all’interno della propria domus.
Gli studi della Johnson mettono comunque in evidenza che alcune pratiche sessuali tra schiavi del sesso maschili e uomini erano proibite: gli uomini liberi, per esempio, non potevano essere sottomessi.
Altra interessante caratteristica dei lupanari che ha offerto spunti su come funzionava il commercio sessuale di Pompei sono i graffiti scolpiti o dipinti sui muri della città. I graffiti erano un mix di consigli sessuali, riferimenti a prezzi o tecniche sessuali specifiche, nonché vere e proprie “recensioni” sulle prestazioni delle meretrici. Ad esempio:
“Schiava si offre per due monete. E’ di gusti raffinati”,
“Greca e di garbate maniere”,
“Solo due assi”,
“Felix lo succhia per un asse” ,
“Euplia lo succhia per cinque assi” ,
“Migliaia di uomini valenti si sono congiunti con lei”,
“Spingi dentro lentamente”,
sono solo un timido esempio della reale presenza di iscrizioni relative ai bordelli e alle sue frequentatrici e frequentatori.
Johnson precise che nell’antica Roma era una pratica comune per gli uomini visitare le prostitute, mentre le mogli erano utili solo per la procreazione. In segno di rispetto per le loro coniugi, i mariti preferivano pagare per il sesso, che era legale, mentre l’adulterio, a titolo gratuito, era severamente proibito e punito.
I graffiti fornivano, inoltre, utili informazioni sul tipo di servizi offerti dalle prostitute: la Johnson nota anche che gli uomini avrebbero potuto chiedere alle prostitute pratiche sessuali che non avrebbero mai potuto eseguire con donne rispettabili o con le loro mogli, come il sesso anale o la fellatio. I bordelli permettevano agli uomini, quindi, di sperimentare la loro sessualità preservando una buona reputazione e fungendo da vero e proprio controllo sociale e morale dell’istituzione del matrimonio!
Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini
Per ulteriori info: theconversation.com
- Antonio Varone, Erotica Pompeiana, ed. L’Erma di Bretschneider, Roma 1994
- Francesco P. Maulucci Vivolo, Pompei. I graffiti d’amore, Roma 1995