sabato, 23 Novembre 2024
Archeologia&Dintorni

ARCHEOLOGI DELLA STANFORD SVELANO SEGRETI DEL CONGLOMERATO CEMENTIZIO

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Un manipolo di archeologi della Stanford University, in California, è stato alle prese con uno studio sui segreti del conglomerato cementizio romano. Per realizzare la ricerca, sono partiti dalla vetta del vulcano Stromboli, nel Mar Tirreno, dove hanno vissuto, in presa diretta, una delle ultime eruzioni.

Il viaggio verso Stromboli è iniziato nella città natale di Tiziana Vanorio, geofisica e assistente docente alla Stanford’s School of Earth, Energy & Environmental Sciences, Pozzuoli, una città portuale fondata dai Greci e successivamente occupata dai Romani, al centro di una caldera vulcanica nota come Campi Flegrei.

La Vanorio e il suo team hanno raggiunto Stromboli dopo una navigazione, a bordo di un aliscafo, da Napoli verso sud per quasi quattro ore prima di scorgere il fumo, il vapore e il gas che soffiavano dal cono dello Stromboli. Il raggiungimento della cima è, però, risultato più arduo: una salita di cinque ore su ripidi pendii di cenere e di roccia.

La sedimentologa Nora Nieminski, ricercatrice postdottoranda presso la Stanford Earth, invece, è arrivata qualche giorno prima per realizzare filmati con droni che in seguito la avrebbero aiutata a creare modelli 3D del vulcano.

I ricercatori impegnati nella missione hanno avuto il compito di studiare il vulcano e il rapporto tra i materiali lavici e il conglomerato cementizio romano, un materiale straordinariamente duraturo, adoperabile come base di partenza futura per realizzare materiali più sostenibili o adatti anche per costruire un habitat su Marte.

Oltre allo Stromboli, gli studiosi hanno analizzato, sul campo, anche la provincia napoletana, un luogo ideale per immergersi nella scienza dei pericoli naturali: densamente popolata e disseminata di dozzine di vulcani, la regione è una delle più pericolose sulla Terra. Le rovine di un porto romano e la villa di un imperatore si trovano al largo, scomparsi in seguito ai movimenti della crosta terrestre.

Alla base delle escursioni e delle ricerche giornaliere, lo studio sulle proprietà del calcestruzzo romano e la modellazione tridimensionale delle immagini dei droni sono state un esercizio ampio per trovare le connessioni tra i diversi campi di studio, dall’informatica, alla fisica, agli studi classici, all’ingegneria chimica.

Secondo la Vanorio, esistono ancora questioni scientifiche a cui non è possibile rispondere, nonostante gli importanti studi che hanno scoperto i processi naturali nel sottosuolo dei Campi Flegrei, adoperando anche le fonti scritte e archeologiche, per far luce sui punti di forza e sulle caratteristiche dei materiali vulcanici, al fine di ingegnerizzarli.

Gli studiosi erano al corrente che le ceneri vulcaniche sono state un ingrediente chiave nella costruzione dell’anfiteatro, del porto, dell’antico mercato di Pozzuoli e persino del Pantheon a Roma, con la sua enorme cupola “non rinforzata”, la più grande del mondo antico.

La Vanori ritiene, quindi, che i Romani siano riusciti, grazie ai fenomeni naturali che circondavano Pozzuoli, a sviluppare una “ricetta” per il durevole conglomerato cementizio usando la cenere vulcanica, calce, minuscole rocce vulcaniche e acqua.

Pozzuoli è posizionata su una striscia di costa molto inquieta, dove l’odore di zolfo si fonde nell’aria. Il Cratere della Solfatara, la leggendaria casa di Vulcano, il dio del fuoco romano, si agita ai margini della città. Proprio al largo di questo luogo “infernale”, sculture, bagni termali, una villa, luminosi mosaici e altre rovine archeologiche riposano più di 10 metri sotto il livello del mare, vittime della subsidenza della caldera.

Vicino al moderno lungomare di Pozzuoli, tre colonne si ergono tra le rovine del vecchio mercato, il Macellum, sulle quali gruppi di minuscoli fori, le cosiddette cozze “mangiatrici di pietra”, molluschi marini che perforano le colonne, uniti al movimento della caldera, hanno cambiato la posizione delle antiche strutture poste al di sopra della linea di galleggiamento.

Utilizzando le competenze di tutti gli studiosi presenti, sono stati in grado di analizzare la storia del Macellum e di altri siti. Dopo aver realizzato modelli 3D del mercato dalle immagini dei droni, poi manipolate con un software, è stato possibile fornire risposte a diverse domande scientifiche.

Sono stati esaminati, ad esempio, i diversi materiali nelle colonne per capire come il tempo e la pressione dell’acqua dal basso abbiano agito. Innalzamenti e abbassamenti fanno parte del tessuto della vita di Pozzuoli. All’inizio degli anni ’80, il terreno era aumentato di circa due metri in soli due anni, un allarmante ritmo di sollevamento che ha ridisegnato la città, lasciando il porto troppo poco profondo per attraccare e forzando il trasferimento di scuole e negozi.

L’innalzamento del fondale marino ha anche innescato terremoti sufficienti a provocare l’evacuazione di circa 40.000 persone, a partire dal 1982, aspettando la famosa eruzione e i conseguenti movimenti tellurici!

L’episodio ha trasmesso agli scienziati di Stanford una conoscenza sull’insolita durezza nella roccia locale. Altre caldere vulcaniche, come Yellowstone, situate ad est dello Yosemite National Park, tendono a liberare l’energia accumulata dal sollevamento abbastanza presto attraverso i terremoti.

A Pozzuoli, invece, i terremoti non sono iniziati finché la caldera dei Campi Flegrei non si è innalzata di quasi un metro. La domanda che ci si è posti, da un punto di vista della fisica delle rocce, è sulla tipologia del sedimento in grado di accogliere uno sforzo così grande senza immediatamente spezzarsi. La roccia che ricopre questa caldera risulta, dunque, piena di minerali fibrosi che rispecchiano quelli del conglomerato cementizio romano, sedimenti che permettono di allungarsi e piegarsi prima di cedere sotto stress.

Al Macellum è possibile visionare la durabilità del calcestruzzo romano anche nelle sezioni delle antiche mura, dove i mattoni di tufo, erosi dal tempo, mettono in evidenza la malta realizzata con cenere vulcanica e calce.

Un altro vulcano è protagonista della ricerca degli studiosi della Stanford: il Vesuvio che sorge a meno di 25 chilometri a ovest di Pozzuoli. La sua eruzione del 79 d.C. è meglio conosciuta per aver distrutto Pompei, ma lo stesso evento ha anche sepolto Ercolano, la località balneare arroccata sulla base occidentale del territorio vulcanico.

Il Vesuvio, come i Campi Flegrei e lo Stromboli, si trova lungo un confine tettonico, dove la placca africana scorre sotto la placca eurasiatica. Una fessura nella placca africana permette al calore di filtrare attraverso la crosta terrestre, fondendo gradualmente la roccia e aumentando la pressione sotto il Vesuvio, che è esploso più di 50 volte dal 79 d.C., più recentemente nel 1944, fornendo continuamente il materiale necessario per il memorabile conglomerato cementizio romano!

Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini

Per ulteriori info: Stanford University

Pompei

2 pensieri riguardo “ARCHEOLOGI DELLA STANFORD SVELANO SEGRETI DEL CONGLOMERATO CEMENTIZIO

  • Armando

    L’articolo è molto interessante. Ma, c’era bisogno di una spedizione di laureati americani, per stabilire che il cemento usato dai romani e praticamente eterno?
    Scusate, ma mio padre (pace all’anima sua), mi diceva sempre che il cemento odierno faceva schifo, mentre quello degli antichi romani, chiamato “pozzolana”, era eterno. Mio padre aveva la quinta elementare, ma era un attento osservatore, in ogni campo. Questa sua versione sulla pozzolana, però, non era solo il frutto dell’ osservazione, ma anche quello di un bagaglio culturale tramandato oralmente, di generazione in generazione. Di nuovo, scusate se mi sono permesso di fare questo appunto

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    • Daniele Mancini

      Gentilissimo Armando, grazie per il tuo aneddoto. Ora attendiamo i risultati scientifici della spedizione: l’articolo che ho riportato è un resoconto di viaggio della loro attività. Grazie ancora per leggermi

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