TOP 10 DELLE SCOPERTE ARCHEOLOGICHE 2019 – seconda parte
Cari Lettori, ecco la seconda parte della classifica Top 10 delle scoperte archeologiche 2019, secondo gli editori della rivista ARCHAEOLOGY, una pubblicazione dell’Archaeological Institute of America, pubblica la sua. Per quelle le scoperte archeologiche del 2018, clicca qui. Per la prima parte, clicca qui.
- Saqqara, Egitto. Durante le indagini sul complesso funerario del faraone Djedkare Isesi della V Dinastia (2450-2300 a.C. circa), una squadra dell’Istituto ceco di egittologia ha rinvenuto la tomba dipinta di un alto dignitario egiziano dell’Antico Regno. Dopo aver disceso uno stretto tunnel sotterraneo che si apriva in una serie di ambienti, i membri della squadra, guidati dall’archeologo Mohamed Megahed, hanno trovato geroglifici sulle pareti che annunciavano che un dignitario di nome Khuwy sia stato deposto all’interno della camera. L’iscrizione geroglifica elenca anche i numerosi titoli di Khuwy, tra cui “Segretario del re”, “Compagno della casa reale” e “Sorvegliante degli abitanti della Grande Casa”. Accanto ai geroglifici sono rappresentate scene dipinte con colori che rimangono vibranti anche dopo 4.300 anni. Uno dei pannelli principali raffigura lo stesso Khuwy, seduto davanti a un tavolo pieno di cibo, bevande e altre offerte destinate a sostenerlo nell’aldilà. rappresentazione insolita nelle tombe dell’Antico Regno. Le raffigurazioni di alta qualità, la vicinanza della tomba alla piramide di Djedkare e la sua architettura, che imita quella di una tomba appartenente a un faraone della V Dinastia, suggeriscono che Khuwy abbia avuto un ruolo di primo piano nella corte reale. Per maggiori info: Djed Medu.
- Chichen Itza, Messico. Un team di archeologi ha esplorato un sistema di caverne vicino al centro della città maya di Chichen Itza e si è inaspettatamente imbattuto in sensazionali scoperte archeologiche, diversi ambienti colmi di oggetti rituali. Questa scoperta supporta la teoria secondo cui quando è stata fondata la città, tra la fine del VI e l’inizio del VII secolo d.C., è stata organizzata tenendo in mente una relazione con il “regno sacro sotterraneo”. Denominata Balamku, o “Grotta del dio Giaguaro”, il sistema delle caverne è stato individuato per la prima volta da un archeologo nel 1966 e poi sigillato al mondo esterno. L’attuale team, guidato dagli archeologi Guillermo de Anda, dell’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia del del Messico, e James Brady. della California State University, ha riaperto la caverna durante un’indagine sui fiumi sotterranei. Dopo aver attraversato i suoi angusti passaggi, hanno identificato almeno sette camere rituali che contenevano in tutto circa 170 manufatti in ceramica, compresi alcuni bruciatori di incenso decorati con raffigurazioni del dio della pioggia, Tlaloc. La scoperta permetta di dimostrare quanto il mondo sotterraneo fosse importante per gli antichi Maya. Il team ha anche trovato prove del fatto che la grotta sia stata profanata, probabilmente, dalle stesse persone che hanno attaccato Chichen Itza intorno al 1200 d.C., provocandone il crollo. Ulteriori studi sulla grotta potrebbero fornire una data più precisa per la caduta della città.
- Wiltshire, Inghilterra. I gruppi umani del Neolitico britannico percorrevano centinaia di chilometri per assistere alle celebrazioni rituali nei luoghi sacri, portando con loro anche i propri maiali da consumare durante le feste. Il cibo ingerito da un animale o da un umano lascia, spesso, una firma chimica tra i denti e le ossa che gli scienziati possono analizzare per determinare dove sono stati o se sono stati allevati. Un’indagine condotta da Richard Madgwick dell’Università di Cardiff ha recentemente analizzato le ossa di maiale scartate più di 4000 anni fa in quattro siti di henges nel sud-ovest dell’Inghilterra, tra cui le Durrington Walls. Madgwick ha concluso che molti dei maiali macellati presso le henges non erano allevati nelle vicinanze, ma venivano invece portati da nord, dalla Scozia e dall’Inghilterra nord-occidentale, dimostrando l’esistenza di una complessa società organizzata. Il sacrificio di un maiale allevato nel proprio villaggio potrebbe essere stato uno dei requisiti per contribuire ai festeggiamenti rituali e costituire una forte identità di gruppo.
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Tuzusai, Kazakistan. I ricercatori sono riusciti a comprendere definitivamente il processo di domesticazione di antiche piante come grano e riso. I primi individui raccoglitori a utilizzare queste piante hanno incontrato campi di cereali selvatici i cui semi di questi autoimpollinanti cadono a terra quando sono maturi e hanno permesso un raccolto fresco ogni anno. Nel corso dei millenni, a partire da circa 12.000 anni fa, gli esseri umani hanno prima raccolto e poi addomesticato queste colture. Gli alberi di mele, però, si riproducono male quando le mele cadute vengono lasciate marcire o quando gli alberi di seconda generazione crescono troppo vicino ai loro genitori. Ci si affidano agli animali, compresi gli umani, per disperdere i loro semi ed eseguire l’impollinazione. La documentazione fossile suggerisce che le mele si siano sviluppate in Europa e in Asia già 11,6 milioni di anni fa. Gli esemplari di mela provenienti da un sito neolitico in Svizzera risalgono, invece, al 3160 a.C. Gli archeologi hanno scoperto un seme di mela, definibile come il progenitore della mela moderna, databile alla fine del primo millennio a.C. in un sito di un villaggio sulle montagne di Tian Shan, in Kazakistan. L’archeobotanico Robert Spengler del Max Planck Institute for the Science of Human History ha combinato le prove fossili e archeologiche con studi genetici confrontando le mele moderne con i loro antichi antenati. Ha concluso che le prime popolazioni umane a incontrare le mele selvatiche hanno, dunque, assunto un ruolo un tempo interpretato da megafauna ormai estinta, disperdendo semi e polline e, inavvertitamente, ampliando la gamma dei frutti.
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Dalheim, Germania. Un brillante pigmento blu, molto amato nel Medioevo europeo tanto da costare un prezzo più alto dell’oro, preparato dal lapislazzuli minerale estratto in una singola località remota in Afghanistan, è stato rinvenuto nella placca dentale di una donna sepolta tra la fine dell’XI secolo o all’inizio del XII secolo in un monastero tedesco. Un team multidisciplinare guidato Christina Warinner, archeologa molecolare dell’Università di Harvard e del Max Planck Institute for the Science of Human histiry, è rimasto sorpreso di rilevare un’abbondanza di particelle di questo pigmento nel cavo orale di una inumata in una zona arretrata della Germania medievale. La spiegazione più probabile, ritengono i ricercatori, è che la donna era un’amanuense che usava il pigmento per illustrare manoscritti sacri. Questo metodo di analisi può indicare la strada per identificare più amanuensi femminili, raramente riconosciute perché raramente hanno firmato il proprio lavoro.
Daniele Mancini
Per ulteriori info sulle scoperte archeologiche 2019: Archaeology.org