sabato, 23 Novembre 2024
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MANN, IL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI NAPOLI

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Il MANN, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, racchiude tutta la meraviglia del mondo antico che nel Settecento ha dato vita al gusto del Neoclassicismo. A Napoli, la città che Antonio Canova, nel suo viaggio nel 1780, scrive “per tutto sono situazioni di Paradiso”, in un solo palazzo sono raccolti secoli di storia in un susseguirsi di eventi che ha consegnato i tesori del passato allo stupore della contemporaneità!

Il MANN è probabilmente il museo di archeologia classica  più importante del mondo e, racchiudendo l’antica Collezione Farnese, la più grande collezione di statuaria classica del mondo antico, e gli spettacolari reperti di Ercolano e Pompei, mostra quanto l’affascinante arte antica incarni tutti i valori del nostro passato, l’eredità culturale e i fondamenti di tutte le civiltà occidentali

Il MANN accoglie circa 270000 opere, esposti nelle sale e i depositi; negli ultimi anni il numero dei visitatori è aumentato fino a superare la soglia  delle 600 mila presenze annue. Si estende su 18500 metri quadrati e ospita anche una biblioteca, gli archivi storici e un laboratorio di restauro.

L’edificio del museo, utilizzato come cavallerizza nel ‘500, poi sede dell’università fino agli anni Settanta del ‘700, con l’Unità d’Italia diventa Museo Nazionale è solo più tardi, nel 1957, con il trasferimento della pinacoteca a Capodimonte, diviene Museo archeologico esclusivo. Il palazzo si trova al centro della realtà storica di Napoli e lo spirito che muove il MANN è quello di essere una sorta di epicentro culturale, necessario alla rinascita sociale ed economica di Napoli.

Nei preziosi archivi del museo è conservata, passo dopo passo, la storia del museo: qui le carte ingiallite dal tempo raccontano le vicende che hanno accompagnato la nascita di una delle istituzioni più antiche d’Europa.

Con Carlo III di Borbone, incoronato Re di Napoli nel 1734, il territorio campano diventa un centro di produzione culturale internazionale. Il monarca eredita dalla madre, Elisabetta Farnese, principessa del Ducato di Parma e Piacenza, un’importante collezione di opere d’arte e la fa trasferire alla Villa Reale di Capodimonte, dove nasce il Museo FarnesianoE’ Carlo III, dal 1738, ad avviare gli scavi di Ercolano e Pompei, sepolte dall’eruzione del Vesuvio dell’anno 79 d.C.

Il re decise di trasportare i reperti rinvenuti in una ala della Reggia di Portici, dando vita al Museo Ercolanese e mostrando la sua immagine di Re archeologo che riscopre, per l’Europa, la vera antichità! All’inizio, i musei di Capodimonte e di Portici sono visitabili solo da pochi privilegiati e perfino Johann Joachim Winckelmann, uno dei principali storici dell’arte del Settecento, fu costretto a scrivere una lettera, nel 1758, per richiedere  l’autorizzazione a visitare il Museo Ercolanese.

Ferdinando IV di Borbone, figlio di Carlo, nel 1777, decise di riunire i due musei nell’attuale sede conosciuta come il Palazzo degli Studi di Napoli. Nel 1816, dopo Il decennio di dominazione francese, con il ritorno dei Borbone a Napoli, il Real Museo diventa Real Museo Borbonico.

Negli anni francesi, Antonio Canova, lo scultore veneto che ha riproposto, con le sue opere, la bellezza universale eterna della cultura classica, è completamente coinvolto nell’allestimento del museo, come consulente nel posizionamento di alcune sculture della collezione.

La grande statua in marmo destinata a celebrare Ferdinando IV è stata realizzata proprio da Antonio Canova:  presentata al pubblico nel 1822, troneggia, dall’alto, sullo scalone principale del museo a rendere omaggio a un re che, in oltre 65 anni di regno, non ha mai tradito la strada di promozione culturale intrapresa dal padre Carlo.

Canova lo raffigura nei panni di Minerva, la divinità romana protettrice delle Arti, nonché genius loci di questo tempio di antiche bellezze. Con Ferdinando IV il museo è destinato ad ingrandirsi ancora di più e nel 1787, nonostante la forte opposizione del papa, ha trasferito a Napoli il resto del patrimonio Farnese, le sculture conservate a Roma, portando a compimento quanto iniziato dal padre.

Durante il Rinascimento è stato Paolo III Farnese, papa dal 1534 al 1549, a dare il via alla raccolta di opere d’arte della famiglia, a cominciare dai tesori romani dell’antichità. Il pontefice ha autorizzato gli scavi sul territorio della capitale riportando alla luce statue e marmi per decorare la sua residenza romana, Palazzo Farnese.

La Collezione Farnese del MANN rappresenta, dunque, la più completa raccolta di antichità romane: sculture. gemme, monete e manufatti inestimabili conservati grazie alla politica collezionistica della nobile famiglia romana.

L’immagine della potenza che sfida e abbatte i propri limiti terreni è rappresentata da Ercole,  il semidio figlio di Zeus dotato di una forza sovrumana: nel celebre Ercole Farnese (foto), l’eroe è rappresentato non in azione, creando un fascino unico tra la prestanza del suo fisico e la quiete del riposo in cui è immerso, dopo aver con compiuto una delle sue fatiche: con una mano dietro la schiena, stringe i pomi d’oro delle Esperidi che, secondo il mito, l’eroe è riuscito a sottrarre con l’inganno al titano Atlante.

Il corpo muscoloso, alto più di 3 metri, si appoggia alla sua clava: la bellezza della statua ha stregato perfino Napoleone che, negli anni della dominazione francese, ha provato a organizzare, senza riuscirci, la spedizione dell’opera in Francia. Questo capolavoro, rinvenuto nel grande Complesso delle Terme di Caracalla di Roma, è uno dei manufatti più rappresentativi e imponenti della Collezione Farnese.

Le statue della collezione sono per lo più copie, di età romana, di originali greci, come i Tirannicidi, il gruppo scultoreo rinvenuto a Villa Adriana a Tivoli.

Queste statue, dal punto di vista storico-artistico, sono fondamentali perché per la prima volta viene rappresentato un evento storico realmente accaduto: i tirannicidi sono personaggi storici realmente esistiti, un vero e propri omaggio alle virtù patriottiche del mondo greco. I due protagonisti, Armòdio e Aristogìtone, sono i due ateniesi che, nel 514 a.C., uccisero Ipparco, figlio del tiranno Pisistrato. I due pagarono il gesto con la morte ma la democrazia ateniese li onorò come eroi della libertà, ricordandoli con la realizzazione di diverse statue il loro sacrificio.

La  copia romana ritrae Armòdio, il giovane dal viso glabro, è raffigurato al momento dell’attacco con il braccio teso in alto, mentre Aristogìtone gli fa da scudo con il suo stesso corpo.

Le divinità, soggetti tradizionali dell’arte greca, assumono molto spesso le sembianze femminili e Artemide Efesia, che raffigura la dea della caccia e l’immagine della fertilità, in una statua conservata al MANN mostra un petto ricoperto di seni, in segno di prosperità e abbondanza.

Le linee morbide della Venere di Callipigia, termine he significa letteralmente “dalle belle natiche”, mostrano come il sacro diviene carne ed ossa. La dea è colta mentre si volge all’indietro, con le vesti sollevate, per ammirare le proprie fattezze in uno specchio d’acqua.

Anche questa scultura era parte della Collezione Farnese, sempre una copia Romana di un originale bronzeo ellenistico con il gusto del rococò, quel periodo dell’arte ellenistica in cui si prediligono i soggetti leziosi e manieristici.

Un capolavoro assoluto, che i Borbone ricevono in eredità, è la Tazza Farnese: la sua storia è un caso unico nel panorama archeologico. Il reperto, infatti, non è rimasto sepolto sotto terra, ma è giunto fino a noi passando di mano in mano, dall’oriente all’occidente. La datazione, piuttosto discussa, oscilla tra il II e il I secolo a.C., realizzata probabilmente in Egitto, alla Corte dei Tolomei.

La tazza, un blocco unico di agata sardonica, è il più grande cammeo esistente al mondo: in realtà si tratta di un piatto, forse utilizzato per libagioni rituali, in cui sul retro è rappresentata una testa di medusa, all’interno, invece, otto personaggi sono protagonisti di una scena allegorica che desidera celebrare la fertilità del Nilo.

Negli anni Venti dell’ ‘800 giunge al museo il pezzo forte della Collezione Farnese: un’opera imponente di oltre 20 tonnellate che da Roma arriva a Napoli con un eccezionale trasporto via mare che approda al porto di Mergellina: è il Toro Farnese (foto), il più grande complesso scultoreo che dall’antichità sia giunto fino a noi.

E’ letteralmente una montagna di marmo, alta più di 3 m, che trasforma il mito in scultura: l’opera, rinvenuta nel 1545 durante gli scavi commissionati da Papa Paolo III alle Terme di Caracalla, mette in scena il mito del supplizio di Dirce, colpevole dei maltrattamenti nei confronti della bella Antiope, una delle tante amate di Zeus.

La mitologia racconta come Dirce, sia stata punita dai figli gemelli di Antiope, Anfione e Zeto, che, desiderosi di vendicare gli insulti alla madre, hanno legato a un toro selvaggio Dirce, ounendola con un terribile castigo. Il toro impazzito trascinando la donna, fa scempio del suo corpo. Il coro delle figure è orchestrato in maniera armoniosa, nonostante l’intensità e la drammaticità dell’azione: questo colosso scultoreo, che giganteggia nella sala, arriva a suggellare una straordinaria collezione di capolavori classici.

Le opere racchiuse in questo edificio storico non si esauriscono solo fra i corridoi del museo: in luoghi che spesso restano invisibili, come fossero quinte di un teatro, si conserva un tesoro nascosto altrettanto importante come quello allestito nelle sale. Nei depositi, infatti, si conservano migliaia di opere che superano di gran lunga, in numero, quelle esposte, consentendo al museo di instaurare importanti relazioni di scambio con tutti i musei del mondo.

Anche i reperti che si trovano nei depositi richiedono un impegno costante nella conservazione : i laboratori di restauro, divisi in diverse sezioni, ceramica, materiali lapidei, metalli, affreschi e mosaici, sono un’eccellenza nel territorio.

Di recente, dopo anni di chiusura al pubblico, è stata riaperta la Collezione Magna Grecia in cui oltre 400 opere, che rappresentano un unicum nel panorama dell’archeologia, dopo essere passate attraverso le abili e attente mani dei restauratori, sono state esposte in una sezione meravigliosa. Dalla pulitura, finalizzata a eliminare la polvere che si è depositata sulle opere, all’utilizzo di impacchi di acqua, carta e sapone per la statuaria in marmo, i restauratori del MANN si prendono cura del valore culturale immenso che passa loro davanti.

Il laboratorio di restauro del MANN è un importante punto di riferimento per università italiane e straniere che si occupano di insegnare la preziosa arte del restauro, necessaria a tutelare la bellezza antica dalla pressante azione usurante del tempo. I restauri, ovviamente, interessano anche affreschi e mosaici, vanto assoluto del museo.

Sono i reperti della Collezione Vesuviana, che rappresentano l’altro nucleo forte del museo:  qui sono conservate le raccolte più nutrite dei tesori rinvenuti a Ercolano e Pompei.

Fra questi vi è la statua di Pan e capra, il Dio dei Boschi, metà uomo metà animale, scolpito nell’atto di accoppiarsi con una capra. E’  parte di un repertorio di opere antiche che raffigurano, senza censure, la sessualità e l’erotismo. La scultura, proveniente dalla Villa dei Papiri di Ercolano, è stata concessa per una mostra, insieme ad altri manufatti conservati e provenienti dalla Villa, al Getty Villa di Malibu, a Los Angeles, una struttura costruita proprio come appariva la Villa dei Papiri 2000 anni fa.

L’eccezionale scoperta della Villa dei Papiri ha fatto la storia dell’archeologia: la maestosa domus  suburbana, rimasta sepolta sotto il materiale vulcanico, portata alla luce grazie agli scavi borbonici, deve il suo nome grazie al ritrovamento, nella sua biblioteca, di oltre 2000 papiri carbonizzati, molti dei quali ancora leggibili.

Sono tante le opere riemerse da questa residenza gentilizia, una delle ville di otium del litorale campano, arricchita da uno straordinario complesso statuario oggi conservato al MANN: 50 sculture in bronzo e oltre venti in marmo. Una di queste raffigura Hermès. Piccolo, agile, scattante, così è immaginato il messaggero degli dei che, come una saetta vola rapido nel cielo: ma una delle sculture in bronzo provenienti dalla villa immortala Hermès in un momento di riposo, seduto su una roccia, quasi affannato.

La statua faceva parte del  gruppo di statue del peristilio della villa, ispirato all’ideale del ginnasio greco. Inoltre, il gruppo delle Danaidi, le cosiddette danzatrici, raffigura le figlie di Danao: sono cinque statue femminili in bronzo ognuna in una posa diversa, forse collocate  sui bordi della vasca del peristilio quadrato. Secondo la mitologia queste giovani donne sono state condannate da Zeus ad attingere acqua in eterno per aver ucciso i propri mariti durante la prima notte di nozze: le statue instaurano una vera e propria empatia con il visitatore lasciando trasparire bisogni, angosce e felicità dell’uomo di 2000 anni fa.

La scoperta di Pompei è iniziata circa 10 anni dopo quella di Ercolano e molti dei suoi affreschi sono stati asportati e trasferiti nelle residenze reali e oggi, al MANN, si trova la più antica collezione al mondo di queste decorazioni. Proprio grazie ai ritrovamenti pompeiani è stato possibile ricostruire, dal punto di vista stilistico e cronologico, l’evoluzione della pittura romana negli affreschi.

Offrono anche diversi esempi di ritratti: uno dei più famosi è quello di Terentius Neo e della moglie: si tratta di personaggi, appartenenti a un ceto sociale non certamente elevato, che scelgono di farsi ritrarre con i simboli tipici della nobilitas romana, ossia lui con la toga senatoriale e il rotolo in mano che fa riferimento all’attività politica, mentre lei con i simboli tipici della scrittura.

La cultura diventa uno status symbol soprattutto per le donne, rivelando un’appartenenza ad una classe sociale elevata, come ad esempio, il celebre ritratto cd. di Saffo, sebbene nessuna fonte lo accosti alla poetessa greca: nella mano sinistra stringe quattro pugillares, le tavolette cerate, con la destra impugna uno stilo che si porta alle labbra come se stesse riflettendo. Tra le presenze femminili, è rappresentata la cd. Flora, volta di spalle è intenta a raccogliere piante, la cui bellezza dell’affresco ne celebra la protagonista.

In una delle sale del MANN è conservato il plastico dell’intera città di Pompei, in miniatura, che fa rivivere, nei dettagli, l’atmosfera della città:  in scala 1 a 100, è la fedele riproduzione del sito vesuviano e la sua realizzazione, unica e complessa, è iniziata nel 1861 per volere di Giuseppe Fiorelli, nominato direttore degli Scavi subito dopo l’Unità d’Italia.

Le decorazioni dei pavimenti e delle pareti sono riprodotte nei dettagli tramite la realizzazione di acquerelli su carta. Il plastico restituisce la situazione degli Scavi al 1879 ed è l’unica testimonianza di reperti che, purtroppo, in seguito, sono andati persi.

Pompei ha contribuito ad arricchire la collezione del MANN anche con numerosi mosaici,  soprattutto dopo il ritrovamento della Casa del Fauno negli anni trenta dell’ ‘800: la grande residenza aristocratica ricopriva la superficie di una intera insula della città vesuviana.

Per la complessità delle iconografie, i mosaici sembrerebbero essere stati realizzati da maestranze itineranti di provenienza egiziana, forse Alessandria. Il programma artistico della Casa del Fauno è,  in realtà, un’esaltazione dei regni ellenistici, soprattutto quello dei Tolomei. Infatti, uno dei meravigliosi mosaici celebra la figura di Alessandro Magno: il mosaico della Battaglia di Isso è costituito da un milione e mezzo di tessere ed è stato rinvenuto nel 1831, lasciando a bocca aperta studiosi e appassionati.

Battaglia di Isso. Mosaico pavimentale il cui prototipo Plinio il Vecchio ascrive al pittore Philoxenos di Eretria.

Considerato uno dei più belli dell’antichità, diede il nome alla domus in cui venne trovato, Casa del Grande Mosaico e solo in seguito, quando venne riportata alla luce la statuetta del Fauno danzante, prese il nome di Casa del Fauno. La grande raffigurazione, quasi 6 metri per tre, omaggia la vittoria macedone sui persiani nella Battaglia di Isso del 333 a.C. Sulla sinistra è raffigurato Alessandro Magno, a capo scoperto; sulla destra Dario III, sul carro in fuga.

Il 10 maggio 1832, dopo aver preso visione del disegno che l’amico Wilhelm Zahn aveva fatto del mosaico, Wolfgang Goethe dava l’avvio all’innumerevole serie di commenti ammirati che il mosaico avrebbe di lì a poco suscitato affermando con ineguagliata sintesi: “Il presente e il futuro non potranno giungere a dar giusto commento di una tal meraviglia dell’arte e dovremo sempre ritornare, dopo aver spiegato e studiato, al semplice, puro stupore”…

Il MANN, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, sulle ali delle parole di Goethe, ha tra le sue virtù la capacità di rinnovare lo sguardo sull’antico e renderlo contemporaneo, verificando e contemplando le storie già accadute che consentirebbero di non ripetere gli stessi errori!

Si mediti, attentamente…

Daniele Mancini

Museo Archeologico Nazionale di Napoli

P.s.: il MANN conserva uno splendido mosaico rinvenuto a Chieti nel 1640, un emblema vermiculatum con raffigurazione della lotta tra Tèseo e il Minotauro.

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