AFRICA SUB-SAHARIANA E MOVIMENTI MIGRATORI NEOLITICI
Un nuovo studio interdisciplinare pubblicato sulla rivista Science Advances ha analizzato 20 genomi antichi recentemente sequenziati e provenienti dall’Africa sub-sahariana, nella fattispecie dalla Repubblica Democratica del Congo, dal Botswana e dall’Uganda. Lo studio documenta la coesistenza, i movimenti, le interazioni e la mescolanza di diversi gruppi umani durante la diffusione della produzione alimentare nell’Africa sub-sahariana.
Al fine di rivelare le interazioni tra la popolazione che hanno dato origine all’enorme diversità linguistica, culturale ed economica dell’Africa, un team interdisciplinare di ricercatori provenienti da Africa, Europa e Nord America ha raccolto campioni di regioni chiave in cui gli attuali modelli prevedono un’eredità di interazioni significative della popolazione. Lo studio collaborativo tra ricercatori del Max Planck Institute for the Science of Human History (MPI-SHH), i Musei nazionali del Kenya e altri partner è stato condotto dall’archeogenetico Ke Wang e dall’archeologo Steven Goldstein, dell’MPI-SHH.
Lo studio accende un enorme luce sui modelli di cambiamento della popolazione man mano che la produzione alimentare si sia diffusa in tutta l’Africa sub-sahariana.
Mentre la diffusione della produzione alimentare ha portato alla graduale integrazione del sistema cerealicoro nella maggior parte del mondo, in diverse regioni dell’Africa contemporanea tra popolazioni come la San a sud, la Hazda a est e la Mbuti della foresta pluviale dell’Africa centrale, sono persistiti i semplici metodi di sostentamento con i locali cereali. Tuttavia, il presente studio mostra che, migliaia di anni fa, gli antenati di questi gruppi formarono una nuova caratteristica morfologica genetica, denominato cline genetico, sovrapposta che si estendeva in gran parte dell’Africa orientale e meridionale.
Secondo Ke Wang, il flusso genico dei gruppi “cerealicori” dell’Africa orientale, meridionale e centrale contemporanea, sia a causa di fattori climatici e ambientali, sia a causa della conservazione continua da parte dei gruppi produttori di cibo, avrebbe contribuito, in modo sostanziale, alla struttura genetica che possiamo oggi distinguere in tutto il continente, riportando complesse interazioni tra cacciatori-raccoglitori, pastori maggiori di quanto non si conoscesse in precedenza.
Per comprendere meglio queste interazioni e il loro impatto sulle strategie di sussistenza, i ricercatori hanno incentrato le loro indagini su gruppi chiave e regioni precedentemente identificati come significativi ai cambiamenti nella produzione alimentare: gruppi di cerealicori orientali e meridionali, neolitici pastorali dell’Africa orientale e gruppi dell’età del ferro legati alle attuali etnie Bantu dell’Africa sub sahariana.
L’analisi genomica di sei individui ascrivibili al periodo neolitico pastorale del Kenya, tra 4.500 e 1.200 anni fa, ha rivelato una maggiore complessità ancestrale rispetto a individui precedentemente segnalati della stessa regione, supportando studi precedenti che avevano proposto che i primi pastori migrassero a sud lungo più percorsi simultanei ma geograficamente distinti, ramificandosi in molti gruppi umani, lungo il corridoio del Nilo, attraverso l’Etiopia meridionale e forse alcuni attraverso l’Uganda orientale.
Lungo la strada, i pastori migratori avrebbero incontrato popolazioni diverse e creato relazioni intercomunitarie diverse, risultando una diversa integrazione nei genomi dei diversi antenati. Questo modello può spiegare perché gli archeologi osservano forti differenze nella cultura materiale, nelle strategie di insediamento e nelle tradizioni di sepoltura tra popolazioni neolitiche pastorali i cui antenati sono in realtà strettamente correlati.
Alcune delle scoperte più interessanti provengono dal sito di Kakapel Rockshelter, nel Kenya occidentale, dove i musei nazionali del Kenya e MPI-SHH si sono uniti per studiare le prime attività agricole nella regione.
A Kakapel, due individui risalenti a circa 300 e 900 anni fa mostrano significativi aumenti di genomi legati alle persone che parlano oggi lingue nilotiche, come la Dinka del Sud Sudan, rispetto ai genomi precedentemente di provenienza dalla Central Rift Valley. Ciò suggerisce che lo scambio genetico deve essere stato specifico per regione e potrebbe aver comportato migrazioni divergenti multiple.
L’analisi genomica ha rivelato, anche, che l’individuo di 900 anni aveva una stretta affinità con le popolazioni di Dinka, ma mostrava anche l’influenza dei gruppi eurasiatici occidentali/nordafricani, suggerendo che la popolazione rappresentata da questo individuo si formasse tra pastori collegati al neolitico pastorale e gruppi nilotici agropastorali.
Prove simili vengono rilevate anche in Botswana dove l’analisi ha rilevato il primo supporto archeogenetico con le ipotesi che i pastori dall’Africa orientale si siano diffusi nell’Africa meridionale prima dell’arrivo degli agricoltori di lingua bantu. Nonostante i dubbi sull’uniformità dell’espansione del Bantu, l’attuale studio documenta l’arrivo di persone con origini legate al Bantu in Botswana durante il I millennio a.C. e la loro successiva mescolanza con i gruppi di pastori dell’Africa orientale e le popolazioni cerealicore dell’Africa meridionale.
Secondo Stephan Schiffels, dell’MPI-SHH, lo studio ha identificato la discendenza legata alla lingua bantu in Uganda, in Congo occidentale, in Tanzania e in Kenya, coerente con l’omogeneizzazione genetica ben documentata causata dall’espansione proprio del Bantu. E’ possibile riscontrare anche una grande variabilità di modelli di mescolanza di Bantu con popolazioni di cerealicori e pastori dell’Africa meridionale.
Ulteriori futuri studi specifici focalizzati a livello regionale saranno necessari per comprendere meglio i modelli locali di cambiamenti culturale e demografico.
Tradotto e realizzato da Daniele Mancini
Per ulteriori info: Max-Planck-Gesellschaft