ALLA SCOPERTA DI TEBE: IL COMPLESSO DI KARNAK – ultima parte
Si conclude, con questa terza parte, un puntuale resoconto sulla struttura del Tempio di Karnak.
ALLA SCOPERTA DI TEBE: KARNAK – prima parte
ALLA SCOPERTA DI TEBE: KARNAK – seconda parte
Buona lettura!
Dalle due estremità del I pilone prende origine il muro di cinta con il quale lo stesso re Nectanebo ha attorniato tutto il sistema del tempio di Karnak con un contorno lievemente irregolare, volto a inglobarvi determinati edifici più antichi, come cappelle destinate a singoli atti cultuali. E’ un’opera colossale, che ha uno spessore medio di undici metri per un’altezza di circa ventuno, forse coronata in alto da una merlatura continua. Tale muraglia sostituiva quelle più antiche e solo parzialmente conservate. E’ comunque caratterizzata dall’essere strutturata in blocchi di muratura in cui i mattoni sono collocati alternativamente con andamento concavo e convesso, e offrono così un aspetto ondulato, in cui si è voluto vedere un’allusione mitologica alle acque primordiali e caotiche che circondano il mondo ordinato della creazione; ma, più praticamente, forse esso ha solo una funzione statica e contrappone due spinte in modo da consolidare l’enorme massa che avrebbe altrimenti avuto una certa tendenza allo sgretolamento[1].
Davanti al pilone, una struttura ricorda che un canale aveva sempre unito la fronte del tempio al Nilo, per permettere le uscite in barca del dio: e così qui una terrazza dominava dall’alto l’acqua mentre al momento della piena il fiume si alzava fino a sfiorare, o superare, il livello di calpestio. Le piene eccezionali sono ricordate da iscrizioni datate con gli anni di specifici sovrani che sono scolpite sulla faccia verticale del terrazzamento[2].
Nei pressi della sala a colonne dell’Akh-menu e fra il III e il IV pilone, là dove si separano il santuario vero e proprio e la zona di accoglienza pubblica, si ergerebbe il cosiddetto asse perpendicolare a quello principale.
In direzione sud, Tuthmosis III ha costruito così un ingresso monumentale dal tempio di Ammon a quello della sua sposa Mut e alla città, erigendo il VII pilone. Fra le sue due torri un portale di granito alto circa tredici metri era affiancato da due colossi del re anch’essi in granito, che gravano su due basi decorate dai simboli e dai nomi dei popoli vinti: gli asiatici su quella est e gli africani su quella ovest.
Più avanti, due obelischi, dei quali resta solo una delle due basi, mentre l’altro è stato portato a Costantinopoli da Costanzo II nel 357 e restano ancora in situ nel cortile dell’VIII pilone i resti del terrapieno che è servito ad abbatterlo per permetterne il trasporto[3]. Da notare che dimensioni e struttura di questo ingresso ricalcano esattamente quelle del IV pilone, che è l’ingresso sull’asse est-ovest del tempio come questo lo è sull’asse nord-sud. Analogamente, la porta ha la decorazione che allude a un giubileo in parallelismo con la decorazione di quella, meno conservata, del IV pilone.
Lo spazio del cortile è formato da due muri che raccordano il pilone con il blocco del tempio vero e proprio. Questo cortile ha un curioso nome, Cortile del nascondiglio[4] e una curiosa storia. Esso deve avere avuto all’inizio la funzione di luogo di raccolta e di manovra per la celebrazione delle grandi feste, da quelle religiose a quelle civili quali le incoronazioni e la consegna di doni; tanto risulta dalla ricostruzione, finora solo sulla carta, delle iscrizioni e rappresentazioni ramessidi sui suoi muri, gli stessi che furono abbattuti in età costantiniana per permettere il rapinoso passaggio degli obelischi del Laterano e di Costantinopoli. I muri esterni portano scene militari delle imprese di Ramses II e copia del trattato concluso con gli Ittiti nell’anno ventunesimo del suo regno, continuando così l’impiego dei muri esterni del tempio come luogo ideale della propaganda regale.
Nei primi approcci alla esplorazione della zona, Georges Legrain, a fine XIX secolo, liberando la corte dai blocchi del muro caduti, si accorse che sotto la pavimentazione si trovava un deposito di materiale di culto e di arredamento del tempio accuratamente collocato in un momento in cui si erano voluti recuperare e risistemarne gli spazi[5].
Da quella osservazione, per anni, lo scavo ha portato alla luce un tesoro di opere d’arte che ha arricchito il Museo del Cairo di più di settecentocinquanta statue e diciassettemila bronzetti, testimonianza di offerte che vanno dal Medio Regno fino all’età greca. Sono proprio le statue in abito greco e le monete tolemaiche quelle che datano il momento in cui è stata costruita questa favissa. Fra i reperti reinvenuti, le misteriose statue “espressioniste” del faraone eretico Akhenaton, rinvenute poco oltre il muro di cinta perimetrale e che hanno permesso di riconoscere il luogo originario in cui furono collocate le prime costruzioni dedicate all’Aton, quando ancora Amenhotep IV/Akhenaton risiedeva ancora a Tebe[6].
Ad est del Cortile del Nascondiglio si trova un bacino rettangolare, le cui acque derivano dalla falda freatica e la cui sistemazione sembra risalga a e connessa allo stesso pilone che costituiva l’ingresso del tempio. Gli specchi d’acqua sacri sono connessi con molti templi egiziani e hanno una prima funzione come luogo della purificazione necessaria a chi debba entrarvi. Ma a questa se ne aggiunge un’altra assai più interessante: il fatto che essi siano alimentati da profonde falde, ne lega le acque con quelle primordiali del Nun, il caos primigenio. Esse erano perciò cariche di una sacralità che fornisce particolare peso alle cerimonie di navigazione che, svolgendosi sulla superficie di questi laghi, ricordano il sorgere della divinità solare a rischiarare le tenebre iniziali.
Tutti questi caratteri sono sottolineati dalle costruzioni circostanti. Sul lato opposto a quello che fiancheggia il tempio sono state identificate, attorno al 1970, abitazioni che certo erano quelle dei sacerdoti. Quelle superiori sono di età tolemaica; ma in quelle più basse, che risalgono al tardo Nuovo Regno, si è potuto osservare almeno le caratteristiche di struttura: cortile di ingresso con portico, una scala porta in terrazza e in fondo al cortile tre o quattro stanze.
Verso sud, altri tre piloni furono realizzati fino al periodo di Horemheb il quale fece adoperare ampiamente i materiali adoperati per la costruzione dei templi dell’Aton quali riempimento delle proprie strutture e oggi molti di questi materiali costituiscono gli elementi di un museo all’aria aperta nei pressi del tempio[7].
Uno splendido esempio di tempio a cella dedicato a Khonsu da Ramses III e fatto decorare, fra gli altri, anche dal re-sacerdote Heritor (ritratto in veste di faraone e con il nome racchiuso in un cartiglio), completano idealmente il tempio-santuario Karnak[8]. Altre due cinte murarie, consacrate rispettivamente alla dea Mut e al dio Montu, sorgono in quest’area.
Il tempio di Montu, a nord, sul luogo di una struttura abitativa/amministrativa, si presenta oggi assai rovinato e continuamente oggetto di scavi; celebra, comunque, il nume più antico e capo della enneade della regione tebana, soppiantato da Ammon solo in secondo tempo. Fatto erigere da Amenhotep III, l’edificio era collegato, attraverso una serie di canali, all’altro tempio di Montu a Medamud, località che rappresentava un sito privilegiato per officiare i riti in onore di questa divinità del distretto tebano.
Il tempio è appoggiato ma non inglobato al temenos del complesso ammoniano. Quello oggi visibile è del periodo tolemaica, a partire dal portale di accesso; decorazioni parietali elaborate, cappelle processionali di sosta e di culto, statue colossali di faraoni, completavano il complesso di Montu, una sorta di appendice del tempio ammoniano.[10].
Dal X pilone, una via d’uscita collega Karnak ad un tempio dedicato alla sposa di Ammon, Mut. Come al solito, lungo il viale processionale cono collocate le solite cappelle di soste per dare la possibilità al dio di riposarsi dalle faticoso del cammino sotto il caldo sole egiziano. Oggi è fiancheggiato da centinaia di crisosfingi, opera di Tutankhamon. Nella vasta area dedicata a Mut, grande solo un quarto del complesso di Karnak e in larga parte ancora inesplorata, oltre a un grande bacino sacro di forma irregolare, si trovano un tempio dedicato al culto della dea e due templi più piccoli, uno dedicato ad Ammon e fatto costruire da Amenhotep III, l’altro edificato da Ramses III. Tutte le strutture sono assai deteriorate e attendono restauri e consolidamenti, dopo gli annosi depredamenti subiti nel corso dei secoli[11].
Daniele Mancini
Note e per un approfondimento bibliografico:
[1] GARDINER, Sir A., Egypt of the Pharaohs, OXFORD, 1961, p. 26
[2] DONADONI, S., Tebe, MILANO, 1999, pp. 49-53
[3] GARDINER, 1952, p. 26
[4] Cour de la cachette
[5] ROCCATI, A., (a cura di), Egittologia, ROMA 2005p.115
[6] ROCCATI, 2005, p.118
[7] DONADONI, 1999, pp. 54-63
[8] BONGIOANNI, A., Luxor e la Valle dei Re, VERCELLI, 2005, pp. 125-126
[9] SILIOTTI, A., La Valle dei Re, VECELLI, 2004, p. 135
[10] DONADONI, 1999, pp. 83-85
[11] DONADONI, 1999, pp. 89-97