“CARO FARAONE, TI SCRIVO”… LIBERA INTERPRETAZIONE DI UNA LETTERA DI UNA PRINCIPESSA BABILONESE
Le celebri Lettere di Amarna sono lo spunto di una interpretazione, realizzata dal sottoscritto, su una missiva scritta da una principessa babilonese al faraone Amenothep IV/Akhenaton (che ha regnato tra il 1353 e il 1336 a.C. circa) durante il suo regno della XVIII Dinastia. Amarna è stata la capitale del regno egiziano di Akhenaton, erroneamente noto per essere il faraone eretico, colui che avrebbe condotto la religione egizia verso uno pseudo-monoteismo. Quanto di più errato: la riforma del faraone, in estremo contrasto con il ricco e potente clero tebano, viaggiava verso una religione di stampo enoteistica monolatrica che prevedeva la preminenza di un dio su tutti gli altri, accentrandone il culto e senza escludere le altre divinità!
Le Lettere di Amarna sono un gruppo di diverse centinaia di tavolette d’argilla incise con scritture cuneiformi che risalgono al XIV secolo a.C. e sono state trovate nel sito di Tell el-Amarna. Poiché l’Egitto è al di fuori dell’area in cui si è sviluppata la scrittura cuneiforme, le Lettere di Amarna testimoniano l’uso della scrittura mesopotamica e della lingua accadica nel Mediterraneo orientale durante questo periodo. La maggior parte delle tavolette sono scambi di missive scritte da sovrani di città e piccoli regni nel Levante, un’area controllata dall’Egitto nel Nuovo Regno ma alcune sono lettere di sovrani che erano re potenti a pieno titolo e controllavano vasti territori come Babilonia, Assiria, Mitanni e Hatti.
Sia nel tono che nel contenuto, queste lettere differiscono notevolmente da quelle dei sovrani levantini. Questi governanti usano termini di uguaglianza, riferendosi al re egiziano come un “fratello”, e discutono dello scambio reciproco di doni, comprese materie prime come l’oro dall’Egitto e il lapislazzuli dell’Afghanistan moderno e oggetti di lusso nonché scambi più diretti, come i matrimoni reali.
Prendendo spunto, dunque, da una di queste tavolette, una principessa di Babilonia, Gursasala, vissuta al tempo del re Burnaburiash II (che ha regnato tra il1359 e il 1333 a.C. circa), scrisse ad Akhenaton una “lettera” che accompagnava una spedizione di regali al Faraone inviata a seguito di una piccola crisi diplomatica sanata definitivamente con la sua offerta personale come una delle seconde grandi spose reali.
A te, ai tuoi carri, agli uomini e alle donne, alla tua casa, che stiate bene, protetti dai tuoi dei.
Possano anche gli dei di Burnaburiash venire da te, condurti in sicurezza e in pace, proteggere la tua casa, il tuo regno, guardare il futuro con serenità e senza disagi.
Alla tua presenza, mio signore, mi prostro, dicendo: “Poiché Timbusal, il mio inviato personale, ha portato solo abiti colorati e preziosi nelle tue città e nella tua casa benedetta, non mormorare nel tuo cuore la tua delusione per poi impormi le tenebre del tuo oblio”.
Questa lettera accompagna anche me e solo un tuo cenno permetterà di inginocchiarmi ai tuoi piedi, lascia che ti accarezzi, che ti baci, che ti abbracci, lascia che le mie labbra si incrocino con le tue e i nostri profumi inebrino i nostri corpi.
Dono me stessa affinché la perdita della tua sposa sia più sopportabile, saprò compensare la sua mancanza con il mio valore e la mia fecondità, donandoti tanti figli per governare il tuo regno mentre il mio harem sarà una continua risorsa di emozionanti piaceri.
La mia accettazione nei tuoi palazzi unirà te e tuo fratello Burnaburiash in una alleanza divina solida e duratura affinché le terre delle nostre valli siano una lunga e ricca via di continui scambi.
Non respingermi, non puoi respingermi, accetta questi ori, questi avori, questi lapislazzuli, questi nettari divini che abbonderanno sulle tue tavole, nettari che solo dei e te siete degni di assaggiare.
Mio signore, mio dio, eccomi al tuo cospetto, al cospetto del consesso delle divinità del cielo, della terra e della notte, recami presso di te, lascia che il mio cuore conosca il tuo e che si fondano in una sola entità superiore.
A te, ai tuoi carri, agli uomini e alle donne, alla tua casa, che stiate bene, protetti dai tuoi dei.
Daniele Mancini