DA UN INFANTE DI 17.000 ANNI FA IL GENOMA PIU’ ANTICO D’ITALIA
Il bambino vissuto 17.000 anni fa, che probabilmente aveva occhi azzurri, pelle color ebano e capelli ricci e scuri, i cui geni suggeriscono anche una stretta parentela tra i suoi genitori, forse cugini di primo grado, è il possessore del genoma più antico d’Italia.
La sua morte, avvenuta quando aveva solo 16 mesi, potrebbe essere stata causata da una cardiomiopatia ipertrofica, una malattia cardiaca congenita associata a morte improvvisa.
Uno studio internazionale condotto da ricercatori dell’Università di Bologna, dell’Università di Firenze e dell’Università di Siena ha ricostruito con precisione lo sviluppo e le caratteristiche biologiche di un infante vissuto nell’Italia meridionale circa 17.000 anni fa, durante il Paleolitico superiore, e morto quando aveva solo 16 mesi. I risultati, pubblicati sulla rivista Nature Communications , forniscono una testimonianza eccezionale delle prime fasi della vita e dell’insediamento dell’Italia meridionale durante il tardo Paleolitico superiore.
L’indagine si è concentrata su alcuni resti scheletrici rinvenuti nel sito archeologico di Grotta delle Mura, nei pressi di Monopoli (Puglia), sotto la direzione di Mauro Calattini, docente presso l’Università di Siena. I reperti, tra i pochi scheletri infantili ben conservati del Paleolitico superiore, sono stati analizzati combinando studi antropologici tradizionali con paleogenomica, paleoistologia dentale, analisi geochimiche spazialmente risolte e datazione al radiocarbonio.
Secondo Stefano Benazzi, docente di Antropologia fisica presso il Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna, tra i coordinatori dello studio, questo studio pionieristico, che combina diverse tecniche analitiche, ha fornito una nuova visione della crescita e delle condizioni di vita di un infante vissuto in una fase chiave dell’insediamento nella penisola italiana. E’, dunque, un passaggio fondamentale per la comprensione delle prime fasi di vita nel Paleolitico superiore, poiché ha permesso ai ricercatori di raccogliere informazioni sulla madre e sui gruppi di cacciatori-raccoglitori di quel tempo.
Utilizzando pochi milligrammi di polvere ossea prelevata dalla rocca petrosa, una porzione dell’osso temporale noto per l’eccellente conservazione del DNA anche in resti così antichi, i ricercatori sono riusciti a ricostruire quasi completamente il genoma del bambino, decretandolo come il più antico d’Italia.
Il mix dei suoi tratti genetici, piuttosto frequenti nelle popolazioni dell’Europa centro-occidentale dell’epoca, spiega Alessandra Modi, dell’Università di Firenze, coautrice della ricerca insieme a Owen A. Higgins dell’Università di Bologna, hanno evidenziato una stretta parentela tra i genitori dell’infante, probabilmente cugini di primo grado. Questo fenomeno era raramente osservato nel Paleolitico, ma divenne più comune durante il Neolitico.
Inoltre, lo studio dello sviluppo dentale, effettuato a partire da sezioni sottili di due denti, ha evidenziato eventi di stress fisiologico durante la vita del bambino.
Secondo Higgins, le analisi hanno evidenziato uno sviluppo leggermente più prematuro rispetto alla media delle popolazioni europee moderne, nonché almeno nove eventi di stress fisiologico, tre dei quali avvenuti durante la vita intrauterina del neonato. La presenza di un numero elevato di marcatori di stress è coerente con i risultati genetici, che suggeriscono che il neonato probabilmente soffrisse di cardiomiopatia ipertrofica, una cardiopatia congenita associata a morte improvvisa.
Tutti questi elementi contribuiscono ad arricchire la comprensione delle dinamiche sociali e biologiche del Paleolitico superiore e mettono in luce l’importanza della Penisola italiana come crocevia di incontro di diversi gruppi di cacciatori-raccoglitori durante una fase chiave della storia umana.
L’integrazione di questi dati ha permesso di ricostruire con precisione la storia biologica dell’infante, evidenziandone sia lo sviluppo durante la prima infanzia sia le possibili cause della sua prematura scomparsa, Secondo David Caramelli, docente di Antropologia all’Università di Firenze e tra i coordinatori dello studio, l’indagine ha portato alla ricostruzione del genoma più antico d’Italia che ha rivelato cambiamenti significativi nella popolazione del Sud Italia verso la fine dell’Ultima Glaciazione, con l’arrivo di gruppi provenienti dai Balcani che colonizzarono l’Italia partendo da nord-est e dirigendosi, poi, verso regioni più meridionali della penisola.
Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini
Per ulteriori info: Università di Bologna