giovedì, 21 Novembre 2024
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DALLA CULTURA NATUFIANA CINQUANTA SFUMATURE DI ROSSO…

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La Cultura natufiana si sviluppò tra 13.000 e 9.650 anni fa nel nord di Israele, sulla costa orientale del Mediterraneo ma recenti scoperte suggeriscono che questi cacciatori-raccoglitori utilizzarono per la prima volta pigmenti rossi di origine organica.

Secondo Laurent Davin, archeologo del Laboratorio di Tecnologia ed Etnologia dei Mondi Preistorici (TEMPS) e dell’Università Ebraica di Gerusalemme, è stato importantissimo scoprire pigmenti di origine organica antichi e ben conservati e rivela i risultati dello studio sulla rivista  Plos One.

Risalenti a circa 15.000 anni fa, questi coloranti non minerali sono stati trovati su perline e gioielli provenienti dalla Grotta di Kebara (Monte Carmelo, Israele), conservati per quasi cento anni presso il Museo Archeologico Rockefeller di Gerusalemme. Questi manufatti natufiani erano familiari a tutti, ma non erano mai stati studiati; gli specialisti avevano sempre creduto che il rosso rilevato sulle conchiglie, sui denti e sulle altre ossa dei gioielli fosse di origine minerale, più precisamente ocra.

L’ocra è considerato il “re” dei coloranti minerali, poiché è utilizzato da almeno 300.000 anni da diverse specie di ominidi. Il suo utilizzo ricorrente e quotidiano da parte della nostra specie è iniziato circa 140.000 anni fa, in Africa.

La scoperta ha richiesto tecnologie di analisi all’avanguardia come la microscopia elettronica a scansione e la spettroscopia Raman, condotte da Ludovic Bellot-Gurlet presso il laboratorio MONARIS e Julien Navas presso il conservatorio di arti e mestieri del CNAM.

Le indagini hanno aiutato i ricercatori a comprendere che si trattassero di coloranti organici invece che minerali, grazie alla forte presenza di elementi come carbonio e ossigeno che lasciava pochi dubbi sull’origine dei pigmenti rossi. La spettroscopia Raman ha permesso di determinare il tipo di organismo da cui proviene con precisione il “rosso natufiano” che avrebbe origine da piante tipiche della flora mediterranea della famiglia delle Rubiaceae, come la robbia.

Davin conferma che non era facile ottenere un rosso del genere; prima bisognava scavare, estrarre le radici, essiccarle e ridurle in polvere, poi bollite, poi macerare tutto per un numero di giorni a seconda della tonalità desiderata. Questo processo era lungo e complesso rispetto alla trasformazione dell’ocra, che richiedeva semplicemente di raschiare o frantumare la pietra per estrarne il colore. Oltre a richiedere molto tempo, la produzione di questo pigmento rosso organico ha richiesto una conoscenza approfondita dell’ambiente e in particolare lo sviluppo di tecnologie specifiche per la sua estrazione, con conseguente grande capacità e desiderio di  sperimentazione per arrivare al risultato.

Secondo Davin, nella Cultura natufiana si svilupparono pigmenti organici complicati da ottenere  perché l’uso dei pigmenti, soprattutto dell’ocra, debba essere ricollocato nel contesto preistorico. All’epoca l’ocra veniva utilizzata sia per compiti domestici come la rimozione del grasso dalle pelli di animali per la lavorazione del cuoio, sia per scopi simbolici per colorare l’habitat, il corpo e gli oggetti.

Secondo Davin, il rosso organico avrebbe assunto un ruolo fondamentale soprattutto nell’intensità rispetto all’ocra minerale. Forse questo era un modo per i Natufiani di dimostrare che il colore dei loro gioielli era migliore di quello di altri gruppi umani che vivevano nella zona. Inoltre, la Cultura natufiana mostrava una certa raffinatezza, insieme a sottili dettagli destinati a coloro che potevano coglierne il significato. Ad esempio, le conchiglie utilizzate nei gioielli non avevano sempre la stessa tinta o forma, poiché alcune erano tagliate a pezzi, mentre altre erano in posizioni diverse rispetto al resto dei gioielli.

Oltre ai pigmenti organici, questa scoperta fornisce un’enorme quantità di informazioni, sia sulle persone che li utilizzavano che sulla loro cultura. Gli individui della Cultura natufiana erano cacciatori-raccoglitori sedentari: sul loro territorio, che si estendeva dalla Turchia meridionale al Sinai, si trovano tracce dei primi villaggi dell’umanità e avrebbero avuto tempo da dedicare a qualcosa di diverso dall’unica predazione a cui si erano dedicati i loro antenati.

Questo tipo di cultura ancestrale ha portato a un significativo sconvolgimento all’interno dell’organizzazione sociale della società natufiana e, secondo i ricercatori, lo stile di vita sedentario avrebbe spinto a un cambiamento rispetto alla trasmissione dell’identità attraverso i gioielli, ad esempio, così come attraverso la rappresentazione delle identità individuali e condivise. I Natufiani erano, dunque,  dietro ciò che avrebbe trasformato radicalmente la vita della nostra specie e non appena l’Homo sapiens divenne sedentario iniziarono i processi che portarono all’agricoltura e all’allevamento, attività che sono ancora in vigore oggi in tutte le società umane.

Non è solo l’agricoltura che ha resistito nel corso dei secoli, ma anche l’uso di coloranti vegetali e animali. Che si tratti della porpora di Tiro del mollusco murex brandaris in tutto il Mediterraneo antico, del rosso estratto dalla cocciniglia (Kermes vermilio) presente oggi negli alimenti, del rosso della robbia utilizzato nella tomba di Tutankhamon, dei colori della Sindone di Torino, dei dipinti di Van Gogh, o per tingere i pantaloni dell’esercito francese durante la Prima Guerra Mondiale, dalla Cultura natufiana partì una moda che durerà a lungo, con un futuro luminoso…

 

Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini

Per ulteriori info: CNRS

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