domenica, 8 Settembre 2024
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EDIFICIO CRISTIANO RINVENUTO A SAMAHIJ, BAHREIN

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Gli archeologi dell’Università di Exeter hanno portato alla luce uno dei primi edifici cristiani eretti nel Golfo Persico, a Samahij, in Bahrein: la prima traccia di una comunità perduta da tempo, il Cristianesimo di quella Chiesa d’Oriente, a volte impropriamente definita Chiesa nestoriana, che prosperò in quei territori fino a quando non iniziarono le conversioni su larga scala all’Islam, dopo la fondazione della religione nel VII secolo d.C.

La datazione al radiocarbonio di elementi organici indicherebbe che i resti dell’edificio rinvenuto a Samahij, in Bahrein, fu occupato tra la metà del IV e la metà dell’VIII secolo, quando fu abbandonato dopo che la popolazione si convertì all’Islam.

Gli scavi, condotti da archeologi britannici e del Bahrein, sotto un tumulo di detriti in una necropoli del villaggio, hanno rivelato un grande edificio con otto ambienti. Questo includeva una cucina, un refettorio, una possibile stanza da lavoro e tre spazi comuni, tutti celati da una moschea costruita in seguito sopra di esso.

È possibile che l’edificio fosse il palazzo del vescovo della diocesi di cui Samahij faceva parte, chiamata anche Meshmahig o Mašmahig nelle fonti storiche, una corruzione linguistica di “Samahij”. I registri indicano che il rapporto tra Meshmahig e le autorità della chiesa centrale non fu sempre liscio, con un vescovo scomunicato nel 410 e a metà del VII secolo un altro vescovo condannato per aver sfidato l’unità della Chiesa.

Gli edifici cristiani (chiese, monasteri, residenze) disseminati nel Golfo si trovavano in piccole località remote in Iran, Kuwait, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita orientale, la maggior parte in epoca più tarda. Samahij è diversa perché posizionata nel cuore di un insediamento moderno.

L’edificio era molto ben costruito, con muri in pietra, intonacati all’interno e pavimenti in ben rifinito. Prese e fori indicavano dove erano state fissate internamente porte e panche, e la cucina conteneva diversi focolari ricavati dalle basi o dalle sommità di anfore simili a contenitori di stoccaggio.

Gli occupanti avevano un buon tenore di vita, mangiando carne di maiale (che smisero di mangiare dopo la conversione all’Islam), pesce, molluschi e vari raccolti, i cui dati sono in fase di analisi.

La scoperta di perle di pietra semipreziosa, la corniola, e di numerosi frammenti di ceramica di origine indiana indica che erano coinvolti in scambi commerciali, in particolare con l’India.

La comunità utilizzava anche oggetti in vetro, tra cui piccoli bicchieri da vino, un’abitudine che finì nell’era islamica. La dozzina di monete di rame recuperate dagli archeologi suggerisce che utilizzassero monete coniate nell’Impero sasanide. Nell’edificio sono stati rinvenuti fusaiole e aghi di rame, il che suggerisce che è possibile che lì venissero prodotti tessuti destinati al culto.

L’identità cristiana degli abitanti è dimostrata dalle tre croci in gesso rinvenute, due delle quali decoravano l’edificio e una terza probabilmente utilizzata come pendaglio  personale, e dai graffiti incisi sull’intonaco che includono parte di quello che sembra essere un monogramma di Cristo o Chi Rho o Chrismon con un pesce, entrambi simboli cristiani primitivi.

L’edificio è stato oggetto di scavi tra il 2019 e il 2023 nell’ambito di un progetto condotto congiuntamente da Timothy Insoll, docente dell’Institute of Arab and Islamic Studies dell’Università di Exeter e da Salman Almahari dell’Authority for Culture and Antiquities del Bahrein.

Insoll conferma che hanno rinvenuto anche la raffigurazione di un volto su una conchiglia di perla nel bitume, forse per un bambino che viveva nell’edificio e conferma che l’edificio è la prima prova fisica trovata della Chiesa nestoriana in Bahrein, offrendo sullo stile di vita degli individui del periodo.

Al momento, sul sito è in fase di sviluppo un museo per preservare e presentare questa straordinaria testimonianza la cui apertura è prevista per il 2025.

 

Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini

Per ulteriori info:  Università di Exeter

Golfo Persico

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