ESTINZIONE DELL’UOMO DI NEANDERTHAL NEI SEGRETI DELLE STALAGMITI
L’Homo Neanderthaliensis non si è estinto a causa dei cambiamenti climatici, secondo un nuovo studio realizzato da un gruppo di ricerca dell’Università di Bologna. Dopo una dettagliata ricostruzione paleoclimatica dell’ultima era glaciale, attraverso l’analisi delle stalagmiti campionate da alcune grotte in Puglia, diversi gruppi di Neanderthaliani, che vivevano nel Mediterraneo occidentale 42.000 anni fa, non hanno subito gli effetti del clima.
I ricercatori si sono concentrati sull’altopiano carsico delle Murge, dove Neanderthaliani e Homo Sapiens hanno convissuto per almeno 3.000 anni, da circa 45.000 a 42.000 anni fa. Questo studio è stato pubblicato su Nature Ecology & Evolution e mostra come i dati estratti dalle stalagmiti hanno provato che i cambiamenti climatici avvenuti in quel lasso di tempo non erano particolarmente significativi, riscontrando in quella sona della Puglia una sorta di “nicchia climatica” durante il passaggio dai Neanderthaliani all’Homo Sapiens.
L’ipotesi che un cambiamento climatico fosse un fattore di estinzione dei Neanderthaliani avvenuto, in Europa, quasi 42.000 anni fa, ha trovato un notevole sostegno nella comunità scientifica. Secondo questa teoria, durante l’ultima era glaciale, i rapidi e repentini cambiamenti climatici sono stati un fattore decisivo nell’estinzione di Neanderthaliani a causa del clima sempre più freddo e secco.
Possiamo trovare conferma di questi bruschi cambiamenti nell’analisi dei nuclei di ghiaccio dalla Groenlandia e da altri archivi paleoclimatici dell’Europa continentale. Tuttavia, quando si tratta di alcune aree del Mediterraneo, in cui Neanderthal viveva da 100.000 anni fa, i dati raccontano una storia diversa. Il Mediterraneo occidentale è ricco di reperti preistorici e, fino ad ora, nessuno ha mai effettuato una ricostruzione paleoclimatica di queste aree occupate dai Neanderthaliani.
Il gruppo di ricerca dell’Università di Bologna si è rivolto all’altopiano delle Murge come chiave per la comprensione dei movimenti antropologici: Neanderthaliani e Homo Sapiens vissero insieme circa 45.000 anni fa come in pochissime altre aree al mondo, rendendo l’altopiano delle Murge il luogo perfetto per studiare il clima e i motivi bioculturali della transizione da Neanderthaliani a Sapiens.
La ricostruzione climatica di un periodo così remoto è possibile grazie allo studio delle stalagmiti, quelle formazioni rocciose che si innalzano dal pavimento delle grotte carsiche grazie alle gocce d’acqua provenienti dal soffitto. Le stalagmiti sono eccellenti archivi paleoclimatici e paleoambientali e formandosi attraverso il gocciolamento dell’acqua piovana, forniscono indiscutibili prove della presenza o dell’assenza di pioggia. Inoltre, sono composta da calcite, che contiene isotopi di carbonio e ossigeno. Questi forniscono informazioni precise su come era il terreno e quanto ha piovuto durante il periodo di formazione delle stalagmiti. Possiamo quindi incrociare queste informazioni con la datazione radiometrica, che fornisce una ricostruzione estremamente precisa delle fasi della formazione delle stalagmiti.
Il ritmo con cui si sono formate le stalagmiti è il primo risultato significativo di questo studio. I ricercatori hanno scoperto che le stalagmiti pugliesi hanno mostrato un ritmo costante di gocciolamento nell’ultima e nella precedente era glaciale. Ciò significa che durante i millenni presi in considerazione nello studio non si sono verificati bruschi cambiamenti climatici.
Tra tutte le stalagmiti analizzate, una era particolarmente rilevante: i ricercatori hanno provato che questa stalagmite lunga 50 cm, proveniente dalla Grotta di Pozzo Cucù, nella zona delle Grotte di Castellana (Bari), hanno conservato 27 precise datazioni diverse, subendo 2.700 analisi di isotopi stabili di carbonio e ossigeno.
Secondo la datazione, questa stalagmite si è formata tra 106.000 e 27.000 anni fa, rappresentando la più lunga linea temporale dell’ultima era glaciale nel Mediterraneo occidentale e in Europa. Inoltre, questa stalagmite, non ha mostrato alcuna traccia di bruschi cambiamenti climatici che potrebbero aver causato l’estinzione di Neanderthaliani.
Le analisi effettuate mostrano piccole variazioni delle precipitazioni tra 50.000 e 27.000 anni fa, entità non sufficiente a causare alterazioni della flora che ha abitato l’ambiente sopra la grotta. Secondo gli studiosi, gli isotopi del carbonio mostrano che la bio-produttività del suolo è rimasta sostanzialmente costante durante questo periodo che include la lunga coesistenza tra Sapiens e Neanderthaliani: dunque, non si sono verificati cambiamenti significativi nella flora e quindi nel clima!
I risultati sembrano mostrare che i drammatici cambiamenti del clima dell’ultima era glaciale hanno avuto un impatto diverso sull’area mediterranea rispetto all’Europa continentale e alla Groenlandia e si potrebbe escludere l’ipotesi che i cambiamenti climatici siano responsabili dell’estinzione dei Neanderthaliani.
Stefano Benazzi, paleontologo dell’Università di Bologna, ritiene che i risultati ottenuti confermano l’ipotesi, avanzata da molti studiosi, che l’estinzione dei Neanderthaliani avesse a che fare con la tecnologia: l’Homo Sapiens cacciava usando una tecnologia che era molto più avanzata di quella dei Neanderthaliani e questo ha rappresentato una delle ragioni principali della supremazia dei Sapiens sui Neanderthaliani, che alla fine si estinsero dopo 3000 anni di coesistenza.
Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini