FRANTOI BIZANTINI IDENTIFICATI AD ANFEH, LIBANO
Sull’imponente promontorio roccioso di Anfeh, nel Libano settentrionale, un progetto di ricerca, dal 2010 diretto da Nadine Panayot, docente e curatrice del Museo Archeologico dell’Università Americana di Beirut, quest’anno si è concretizzato in una missione congiunta tra questo museo e il Dipartimento di Archeologia e Museologia dell’Università di Balamand.
La campagna di scavo si è recentemente svolta sotto la guida della Direzione Generale delle Antichità e i lavori hanno permesso di portare alla luce notevoli vestigia del ricco passato di questa bellissima città costiera.
Di fronte al mare, sul fianco settentrionale del sito, sono stati individuati due frantoi: la loro presenza non sorprende in questa regione dove l’olivo è da sempre coltivato e commercializzato come olio.
Il secondo torchio rinvenuto, interamente scavato nella roccia, risale probabilmente al periodo bizantino, intorno al V e VI secolo d.C.
Comprende la quasi totalità delle parti principali necessarie alla produzione dell’olio dalle olive: al centro, la vasca di macinazione circolare in cui una mola, oggi scomparsa, separava la polpa piena d’olio dal nocciolo e, ai lati, due molitori dove il prodotto raccolto veniva trasformato in olio.
Queste aree hanno ciascuna un contenitore o lastra circolare su cui era possibile accatastare i cesti pieni di olive, una nicchia scavata nella parete sud in cui era ancorata l’estremità fissa di una leva di legno mentre l’altra estremità veniva abbassata sui cesti mediante un contrappeso di cui rimane un esemplare e, infine, un contenitore dove sgorgava l’olio da una conca quando la leva sarebbe stata attivata.
A completamento del dispositivo, un secondo contenitore è stato riservato alla raffinazione o alla conservazione delle giare dell’olio.
Una vasta cisterna posteriore all’ambiente del frantoio doveva contenere il volume d’acqua necessario durante ogni fase del processo di produzione dell’olio.
L’altro torchio si trova in un ambiente delimitato da due muri di epoca franca, tra il secondo e il terzo fossato che sbarravano e difendevano il sito al tempo delle Crociate.
Anche qui, al centro, la zona di macinazione materializzata da una macina affiancata da due presse. In questo frantoio il meccanismo che azionava ciascuna delle leve era costituito da una vite di legno dalla quale restano le due rispettive pietre cilindriche di ancoraggio. Si possono ancora vedere le tracce di bacini, oggi scomparsi, dove veniva raccolto l’olio.
Del potente recinto della fortezza crociata del XII e XIII secolo che occupava il sito, fino ad ora si conosceva solo la sua impronta negativa che corre lungo il bordo della penisola oltre ad alcune opere murarie.
Il recente scavo ha messo in luce un’imponente nuova sezione della fortificazione, sul bordo orientale del terzo fossato. Si tratta di un potente muro conservato per un’altezza di oltre tre metri e una lunghezza di venti metri.
In una struttura attigua, un passaggio taglia una parete di grosso spessore. Si accede ad una scala ad arco, che scompare in profondità, completamente ostruita da strati di terra.
Si è scoperto che questa scala, composta da tre rampe di una quarantina di gradini, non conduce a una stanza del tesoro ma al fondo del secondo fossato, attraverso una porta tagliata nella sporgenza di un muro monumentale. Questa discreta postierla, in via di sgombero, è il primo ingresso completo rinvenuto nella fortezza; deve la sua conservazione alla sepoltura sotto tonnellate di macerie.
Al momento della sua scoperta, la volta in cima alla scalinata era completamente danneggiata. La sorpresa degli archeologi è stata lo scoprire una dozzina di sfere di pietra lanciata da una delle più potenti macchine d’assedio dell’epoca, il famoso trabucco.
Sembra che anche altre palle di cannone di vario calibro abbiano causato il crollo delle parti superiori della cinta muraria. Il numero considerevole di questi proiettili, circa duecento, fa pensare che la fortezza avesse subito un feroce bombardamento.
Le fonti letterarie delle Crociate, riferiscono che la rocca di Anfeh sia stata oggetto di due grandi assedi: nel 1205, da parte di Boemondo IV, conte di Tripoli, e una seconda volta nel 1276-1278, dai Templari.
È anche possibile che questo bombardamento sia avvenuto nel 1289 quando i crociati cedettero il passo ai mamelucchi. Questi ultimi aveva usato, appunto, diciannove trabucchi per riuscire a impadronirsi della città di Tripoli e avrebbero potuto portare alcune di queste macchine per lanciare l’assalto finale ad Anfeh.
Lo studio approfondito dei diversi insiemi architettonici e l’esame del materiale che li hanno distrutti consentirà presto di alzare un po’ di più il velo su nuovi capitoli della storia del sito di Anfeh.
Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini
Per ulteriori info: Anfeh