I GIOCHI OLIMPICI DELL’ANTICHITA’
Oggi si sono ufficialmente aperti i Giochi della XXXI Olimpiade dell’era moderna. L’edizione 2016 si svolge a Rio de Janeiro succedendo a quella di Londra 2012 e precedendo i Giochi di Tokio 2020. Tra il 1875 e il 1881 alcuni archeologi tedeschi riportarono alla luce dei resti di templi e delle strutture sportive dell’antica Olimpia e su idea del Barone Pierre de Coubertin i francesi proposero alle nazioni di tutto il mondo di far rinascere gli antichi giochi di Olimpia. Fu così che i Greci organizzarono le prime Olimpiadi moderne ad Atene nel 1896.
I primi Giochi olimpici dell’era antica risalgono, invece, al 776 a.C. e si tennero ad Olimpia. Lo sport, sempre inteso dai greci come competizione o “agone”, aveva una fondamentale importanza sociale: la data non fissa il ricordo di una battaglia o di un avvenimento politico, ma il nome del primo vincitore ai giochi olimpici.
Oltre a essere una componente fondamentale dell’educazione, le competizioni sportive avevano un inscindibile significato religioso; gli agoni erano originariamente legati ai funerali di personaggi di spicco e costituivano un modo per onorare il defunto. È probabile che anche alcuni dei grandi giochi panellenici siano nati dalla commemorazione di personaggi eroici di cui si piangeva la morte, come Enomao a Olimpia. In età storica il significato funerario dei giochi si attenuò ed essi divennero spettacoli destinati a compiacere gli dei, che rientravano nei programmi delle feste religiose periodiche, come le processioni e i sacrifici ed erano organizzati autonomamente dalle singole poleis, che vi ammettevano solo i propri cittadini. Col tempo alcuni dei luoghi di culto scelti come sedi di agoni, Olimpia, Delfi, Nemea e Istmia, cominciarono ad assumere, per ragioni politiche e religiose, un’importanza che superava i confini della singola città; progressivamente la cerchia dei partecipanti ammessi si allargò ad altre città, poi ad altre regioni, finché i giochi divennero “panellenici”, ovvero di tutta la Grecia, un riconoscimento tanto importante da giustificare la sospensione di qualsiasi conflitto bellico durante il loro svolgimento (la tregua olimpica).
L’ultima Olimpiade si svolse nel 393 d.C. per ordine dell’imperatore Teodosio. I Romani conquistarono gran parte dei territori e, poiché erano cristiani, vietarono di pregare gli dei tra cui Zeus per onorare i Giochi olimpici.
Gli agoni dei giochi olimpici.
La corsa fu la prima competizione introdotta a Olimpia, nel 776 a.C., e per tredici anni rimase l’unica. Inizialmente la gara si svolgeva su una distanza di 192,27 m, corrispondenti a uno stadio; in seguito fu introdotto il diaylos, di 2 stadi, e poi la corsa lunga, il dolichon, variabile fra 7 e 24 stadi. La gara detta oplites, che consisteva nel correre per 2 stadi indossando elmo, scudo e gambali di bronzo, era l’unica che si svolgesse con gli atleti non nudi. Nel Tempio di Zeus a Olimpia erano conservati, per gli atleti, venticinque scudi di bronzo pronti all’uso. Curiosità. Le anfore panatenaiche, ricolme di olio, venivano assegnate come premi in occasione delle Grandi Panatenee, che si svolgevano ad Atene ogni quattro anni; la loro produzione era commissionata dallo stato ed esse continuarono a essere decorate a figure nere anche dopo l’abbandono di questa tecnica nelle produzioni ordinarie. Su una faccia del vaso era sempre rappresentata Atena in armi, mentre sull’altra si raffigurava la specialità sportiva dell’atleta da premiare. Quest’anfora è datata con precisione perché, a partire dal IV secolo, si cominciò a scrivere, a fianco di Atena, il nome dell’arconte in carica.
La corsa con la fiaccola non costituiva specialità olimpica, ma faceva parte delle cerimonie di apertura dei giochi panatenaici e si teneva anche in occasione delle feste di Efesto e di Prometeo. La gara si svolgeva fra squadre che rappresentavano le diverse tribù ateniesi e consisteva in una staffetta che portava la fiaccola dall’Accademia, dove si trovava l’altare dedicato a Prometeo, il titano che donò il fuoco agli uomini, fino all’altare di Eros sull’Acropoli. La tradizione moderna della fiaccola accesa a Olimpia prima dell’apertura dei giochi e trasferita in staffetta fino alla sede del loro svolgimento non ha un’origine propriamente “olimpica”, ma ateniese!
Le corse dei carri erano le competizioni più prestigiose e avvincenti dei giochi panellenici, anche per la loro componente di rischio, ed erano monopolio dei potenti delle diverse città, che potevano mantenere e allenare un equipaggio di cavalli, aurighi, stallieri e inservienti. Poiché non erano considerati vincitori gli aurighi, ma i proprietari dei carri, anche una donna, Cinisca, figlia del re di Sparta Archìdamo II, fu proclamata due volte vincitrice a Olimpia. La statua dell’Auriga di Delfi, in bronzo, raffigura il conducente di una quadriga e faceva parte di un gruppo statuario dedicato da Polizelo, tiranno di Gela, per una vittoria ai giochi Pitici del 478 o 474 a.C. In base ai frammenti rinvenuti, il gruppo statuario doveva comprendere, oltre all’auriga, sulla quadriga trainata dai quattro cavalli, altri due cavalli, posti alle estremità, montati o tenuti per le briglie da due inservienti. Il momento rappresentato sarebbe quello del giro di onore dopo la vittoria. Il giovane, con gli occhi in pietra dura e le labbra in rame, indossa la lunga veste di lino bianco tipica degli aurighi, tenuta aderente al petto da sottili bretelle e fermata da una cintura sopra la vita. Sui capelli è stretta una fascia con un motivo a meandro intarsiato in argento.
I vincitori dei giochi panellenici ricevevano premi simbolici: a Olimpia si preparavano corone con le fronde di un ulivo che cresceva dietro il grande tempio di Zeus; corone di alloro erano invece assegnate nelle gare Pitiche a Delfì, di pino nelle Istmie e di sedano selvatico nelle Nemee. Una volta tornati nella loro città di origine gli atleti venivano ricompensati con premi più sostanziosi, che comprendevano somme di denaro, il mantenimento a vita a spese dello stato, posti d’onore agli spettacoli e benefici materiali di vario genere. A Olimpia, i vincitori si recavano a ritirare i premi con bende di lana rossa avvolte intorno al capo, all’avambraccio e alla coscia.
Le corse di cavalli facevano parte di tutti i Giochi panellenici e si svolgevano su un percorso di 1 km circa. A Olimpia li competizioni comprendevano ben otto specialità equestri: corsa di cavalli e cavalle, biga e quadriga di cavalli (vedi sopra), biga trainata da mule, biga, quadriga e corsa di puledri. La statua equestre Cavaliere Rampin è stata ricomposta associando una testa, conservata al Louvre, a un torso frammentario, conservato al Museo dell’Acropoli e qui riprodotto in calco. La ricomposizione delle due parti è stata proposta da Payne nel 1936. La corona di foglie di quercia posata sui capelli identifica il cavaliere con un vincitore di uno dei quattro giochi “coronali”, dove il premio consisteva cioè in una corona vegetale, anche se la quercia non è specifica né di Olimpia né di Delfi, Nemea o Istmia. Anche nei giochi panatenaici le gare equestri erano le più prestigiose e seguite, perché la consuetudine di allevare cavalli era espressione dell’opulenza di poche aristocratiche famiglie ateniesi.
Il salto in lungo non veniva praticato come specialità singola ma, insieme alla corsa, al lancio del disco, a quello del giavellotto e alla lotta, faceva parte del pentathlon, considerata la più complessa e completa delle discipline sportive dell’antichità. L’atleta impugna gli alteres, i manubri di pietra o di metallo, che venivano portati avanti nella fase di rincorsa e di stacco per prolungare lo slancio del salto.
Sia il lancio del disco sia il lancio del giavellotto, facevano patte del pentathlon. I dischi da lancio a noi pervenuti hanno pesi molto variabili, tra 1,5 kg e 6 kg, quasi sempre si tratta però di ex voto, dedicati nei santuari dagli atleti vincitori, che forse non riproducevano fedelmente le caratteristiche dei dischi usati nelle competizioni.
Nel disco in bronzo nell’immagine l’atleta è rappresentato alla fine della rincorsa mentre sta per lanciare con il braccio destro teso all’indietro. Il disco veniva lanciato, da uno spazio segnato da linee sui lati e sul davanti, utilizzando la tecnica illustrata dalla pittura vascolare e da sculture come il celebre Discobolo di Mirone. Il giavellotto, della lunghezza di 2,40 m, veniva lanciato imprimendo un moto rotatorio per mezzo di un laccio fissato al centro dell’asta.
La lotta era, secondo i Greci, il più antico degli sport, nato per necessità di sopravvivenza. Le palestre dove ci si allenava in tutte le specialità atletiche prendevano il nome dal termine pale, lotta! Le regole della lotta, che faceva parte del pentathlon, «erano mollo rigide: partendo dalla posizione eretta, gli atleti si affrontammo testa a testa, allungando le braccia, tentando di atterrare l’avversario; l’atterramento doveva avvenire tre volte perché fosse proclamata la vittoria. La lotta si svolgeva all’intemo di uno spazio in terra soffice, detto skamma, nel quale gli avversari potevano atterrarsi senza farsi troppo male. Prima di lottare, si smuoveva la terra con i piedi per ammorbidirla. Erano consentrite solo le prese dalla parte superiore dal corpo, ma era lecito far perdere l’equilibrio all’avversario usando sgambetti. Come si vede nel rilievo,l’arbitro tiene in mano una lunga verga per intervenire in caso di scorrettezze.
Il pugilato era una disciplina molto dura, con regole diverse da quelle attuali; non esistevano intervalli né limiti di tempo e, poiché non era prevista la possibilità di concludere l’incontro “ai punti”, esso durava a oltranza fino al crollo di uno degli avversari. I guantoni non avevano lo scopo di attutire i colpi. All’inizio si utilizzavano semplici stringhe di cuoio (himantes) per proteggere le dita e i polsi, ma nel IV secolo a.C. furono introdotti terribili guantoni “penetranti”, con una sorta di armatura imbottita di lana sull’avambraccio e grossi anelli di cuoio duro attorno alle falangi. Pare che i colpi fossero sferrati soprattutto al volto, mentre non si usata colpire le altre parti del corpo.
Ora non resta che divertirci nel miglior spirito decoubertiano. Buoni Giochi Olimpici a tutti!
Daniele Mancini