IL MUSEO DI BAGHDAD
La maggioranza dell’opinione pubblica mondiale ha ricordi legati al Museo iracheno di Baghdad solo con le tragiche immagini televisive dei saccheggi del 2003, mentre le truppe americane controllavano facevano il loro ingresso in città con i carri armati.
Pesanti statue state buttate a terra dai loro piedistalli distruggendo anche 4000 anni di storia: alcuni manufatti irrimediabilmente lesionati, altri con lesioni minori ma sempre deplorevolmente maltrattati.
Una delle opere d’arte più apprezzate del museo è il Vaso Warka, con decorazioni risalenti a cinque millenni di anni or sono che mostrano che anche allora gli antichi Mesopotamici coltivavano grano e frutta, tessevano tessuti e producevano ceramiche.
Anche la Lira d’oro di Ur, uno strumento musicale di 4500 anni fa, intarsiato con oro, argento e corniola, è un reperto di grande pregio del Museo di Baghdad.
Appena dopo la caduta di Saddam Hussei, nel 2003, già dalla seconda mattina, il museo è stato oggetto di pesante saccheggio, con una folla di iracheni che si è precipitata via stringendo oggetti di argilla e manufatti vari. Hanno saccheggiato anche oggetti più normali: schedari, sedie e bobine di cavi elettrici.
Il Museo di Baghdad è stato riaperto nel 2015, dopo che i conservatori hanno restaurato molti dei danni e tanti paesi europei hanno contribuito a ripristinare diverse sezioni. Nonostante la perdita di 15.000 opere d’arte, il museo è ancora pieno di una straordinaria collezione.
Si possono ancora ammirare due maestose creature di alabastro alte quasi 4 metri: hanno i volti barbuti di uomini, quattro o cinque zampe, le ampie ali di aquile, i corpi e le code di tori. Conosciuto come lamassu, nell’antica lingua sumera, si pensava che fossero guardiani dello spirito, quindi furono collocati alle porte della città, all’ingresso del palazzo e sulla soglia delle stanze del trono.
Nella stessa stanza si possono ammirare due lunghi fregi che mostrano antichi mesopotamici che trasportano tributi e camminano accanto ai loro cavalli finemente scolpiti, con fianchi muscolosi e redini elaborate. Lamassu e fregio sono sopravvissuti ai saccheggiatori perché si sono mostrati troppo pesanti per essere portati via.
Gli storici dell’arte e gli archeologi sanno quanto sia eccezionale la collezione del museo, specialmente i reperti relativi alla storia mesopotamica ma, nonostante la relativa sicurezza di Baghdad oggi, né la città né il museo riescono a diventare una destinazione importante per gli iracheni, e ancor meno per i turisti stranieri.
Secondo Abdulameer al-Hamdani, Ministro della cultura iracheno, oltre al recupero dei manufatti saccheggiati (circa 4.300 sono stati quelli recuperati), la sfida ora è quella di rendere il museo accessibile al maggior numero possibile di iracheni e turisti. Il Museo di Baghdad è aperto tutti i giorni e numerosi sono gli studenti universitari che svolgono i loro tirocini, anche dalla State University of New York.
Tuttavia, è difficile convincere i visitatori, specialmente gli iracheni più giovani, a ritenere che l’arte del museo sia un elemento fondamentale della loro cultura per la loro vita: la mancanza di audioguide, supporti audiovisivi e accompagnatori in carne e ossa, è un ulteriore ostacolo alla divulgazione di massa.
La collezione del Museo di Baghdad è così completa, secondo archeologi e storici dell’arte, che è quasi scoraggiante cercare di parlarne nella sua interezza. Colpisce, inoltre, l’arco cronologico coperto dai reperti esposti, secondo Paolo Brusasco, archeologo dell’Università di Genova, dal periodo assiro fino a quello ottomano.
La collezione di ceramiche dipinte mostra vasi dalla strana forma di creature dalle bocche particolari; inoltre, piccole sculture di animali che si pensa siano giocattoli; piccole barche fragili fatte di legno trovate in tombe antiche. Gli storici ipotizzano che le barche fossero destinate a trasportare anime verso il mondo dell’aldilà.
Numerosi sono gli esempi di arte sumera fuori dall’Iraq, in particolare al Louvre, al British Museum, ai musei statali di Berlino, al Metropolitan Museum, così come all’Oriental Institute di Chicago.
Le origini del museo risalgono agli inizi degli anni ’20 quando Gertrude Bell, amministratrice ed esploratrice britannica che ha contribuito alla nascita del moderno Iraq, ha collaborato con il re Faisal per creare un museo di arte irachena, impedendo agli archeologi occidentali di allontanarsi con tutti i tesori del paese.
Inoltre, l’opinione pubblica irachena ha sempre spinto verso la legislazione che impone ai team di scavo stranieri di donare almeno la metà delle loro scoperte al museo. Oggi la legge irachena stabilisce che tutto ciò che si trova in Iraq rimane in Iraq. Ciò significa che la collezione del museo continuerà a crescere dal momento che ci sono circa 13.000 siti archeologici in Iraq e una serie di scavi continui.
Il Vaso Warka, uno dei reperti trafugati nel 2003, per esempio, è stato trovato a Uruk, nell’odierna provincia di Muthanna, che gli archeologi ritengono fosse la città più grande del mondo in quel tempo, le cui rovine hanno restituito i primi esempi di scrittura cuneiformi su tavolette d’argilla.
Il vaso è un raro esempio della più antica arte narrativa e racconta un evento su quattro registri. Sono mostrati alcuni contadini che hanno reso omaggio al re per la festa del nuovo anno, portando grano, pecore, oro e orzo. I mesopotamici, inoltre, sono stati tra i primi birrai, usando l’orzo come ingrediente critico. Le tavolette descrivono da 30 a 40 diversi tipi di birra e specificano diverse qualità.
E allora, buoni sogni, per ora, al Museo di Baghdad.
Daniele Mancini