“LA CITTA’ CHE HO FONDATO SI CHIAMERA’ TEATE!”
Teate, 11 maggio 1181 a.C.! Questa, secondo alcuni, sarebbe la data di fondazione della mia città, Chieti, l’antica Teate Marrucinorum!
Già qualche tempo fa, nell’articolo sulla fantastica storia della fondazione di Teate, ho espresso i miei dubbi su come gli storici teatini, sulla base di antiche fonti, più o meno veritiere, abbiano creato questa data. Oggi, invece, vi racconto la mia versione della leggenda… Buona lettura!
Furono già trascorsi diversi anni da quando la Guerra di Troia sancì la definitiva caduta della centro dell’Ellesponto di cui uno dei membri della famiglia reale disonorò un regnante acheo.
Cara, invece, fu pagata la vittoria degli Achei perché gli dei si adirarono fortemente per la distruzione dei loro templi e i sacrilegi commessi alla fine della decennale guerra: nessuno ebbe un felice ritorno a casa e taluni furono inviati fuori rotta proprio dalle divinità disonorate.
Una delle navi, composta da alcuni fedeli Mirmidoni di Achille e guidati dall’auriga Automedonte, vagò inesorabilmente nel Mediterraneo: dalle isole dell’Egeo a Cipro, al delta del Nilo, in Cirenaica, fino alla Sicilia. Protetti dallo stesso Zeus, pietoso verso i suoi guerrieri prediletti, furono indirizzati dal Padre degli Dei in acque più tranquille, in un mare dai bassi fondali e dalle coste sabbiose, dove fu facile approdare e ristorarsi dalle fatiche imposte dalle avversità.
In una calda mattina di primavera ormai inoltrata, affiancarono un tratto di costa dietro la quale giacevano, come un gigante e la sua dama a riposo, due montagne ancora innevate che portarono nella loro memoria il natio suolo greco. Davanti, una foce di un fiume li invitò a entrare, come le braccia di una meretrice ingannevole li avrebbe cinti per uno dei suoi amplessi della giornata.
Il fiume, dalle acque color verde, si mostrò carico di pesce, di ogni razza, che guizzava persino fuori dal letto. Alcuni subito gettarono le reti e pescarono come non mai da parecchi anni. Tutto attorno a loro, una vasta pianura popolata solo da armenti di vacche e vasti greggi di pecore, pronti per il loro viaggio estivo sui freschi monti. Sporadiche capanne in fango e paglia, le abitazioni dei pastori e dei loro cani, completavano il bucolico paesaggio.
Nonostante la folta vegetazione ai lati del corso d’acqua, riuscirono ad avvistare, dopo un’ampia ansa, una serie di alte colline coperte da arbusti, querce e faggi. Decisero di approdare sulla riva e siccome la giornata volgeva al tramonto, prepararono un campo per la notte.
Le grossi montagne che li avevano accompagnati dal mare fin li, ora sembrarono più vicine, più maestose, come due grandi genitori che li avrebbero protetti nel loro grembo, arrossate dal sole che si preparava per il suo viaggio notturno.
Automedonte e i suoi uomini furono certi di una cosa: le divinità desideravano che fossero in quel posto e in quei giorni desideravano che il gruppo effettuasse una grande impresa!
All’alba, di buona lena, decisero di incamminarsi verso quelle colline: lasciarono cinque uomini alla nave e attraversarono campi, incontrarono greggi, avvistarono cacciatori ma nessuno si preoccupò di loro, come se fossero invisibili. Giunsero ai piedi della collina ma non persero tempo e la affrontarono. Alla fine della giornata, dopo un lungo girovagare, esausti, si accamparono su un pianoro dove una sorgente dissetò la loro brama di acqua.
Sul costone, al di sopra del getto d’acqua, notarono la presenza di una piccola aula cultuale: al suo interno trovarono una rozza statua scolpita nella pietra, Apollo! Immediatamente si prostrarono e subito dopo gli resero omaggio con il sacrificio di un leprotto cacciato nei pressi.
La notte trascorse tranquilla: Automedonte sognò di una città ricca di monumenti, templi, fori, statue in marmo di tutte le divinità e la ninfa Teti e Achille che, soddisfatti, lo accompagnavano tra le vie.
Il risveglio del secondo giorno si presentò con una sorpresa: la fonte era invasa da un gregge e da un gruppo di pastori. Costoro, rozzamente vestiti da abiti di umile fattura, offrirono loro pane e carne di pecora tagliata in piccoli pezzi, infilata in bastoncini e cotta alla brace, accompagnata da ottimo nettare di uva, il vino! Riuscirono a conversare a malapena con i loro ospiti ma furono grati per la squisita accoglienza.
Ripresero il loro cammino e quando il sole era alto nel cielo, arrivarono sulla parte più alta della collina. Da quel punto riuscirono a osservare tutta la verde valle tagliata dal corso d’acqua, sulla sponda del quale individuarono anche la loro nave. I monti ora sembrarono vicini e non esitarono a tentare di allungare le braccia per prendere la neve ancora presente. Il posto era incantevole!
Presero una importante decisione: nessuno dei membri della nave aveva familiari prossimi ad attenderli nella madre patria e decisero di restare per qualche tempo in quel posto sconosciuto ma accogliente. Perlustrarono la collina per tutta la giornata ma si resero conto che mancava l’acqua. Un gruppo di pastori di un vicino villaggio guidati da un un uomo barbuto e muscoloso, li esortò a scavare un pozzo. E così fecero, trovarono l’acqua e attorno al pozzo eressero un piccolo altare dedicato a tutte le Nereidi. Il capo dei pastori era Zeus, in uno dei suoi travestimenti, che vegliava sui suoi adepti.
Nella notte Teti comparve ad Automedonte, emergendo dalle acque del pozzo e come quando diede consigli al suo Achille emergendo dalle acque antistanti Troia, parlò anche con il prode scudiero del figlio. Il destino volle che Achille morisse in gloria ma il suo testamento, in quell’angolo di mondo, doveva ancora realizzarsi. Durante le serate prima delle battaglie, a Troia, Achille confessò ai suoi Mirmidoni che alla fine della guerra avrebbe voluto fondare una città e dedicarla a sua madre, Teti. Se non ci fosse riuscito a causa di quello che gli avrebbe riservato il destino, demandò il compito ai suoi uomini più fidati, tra cui Automedonte.
Teti, ancora sofferente per aver visto morire suo figlio per mano di Paride, emise una lacrima: appena toccò terra, si manifestò la figura di Achille e Automedonte sobbalzò e impallidì per la meraviglia. Achille, immobile e silenzioso come apparve ad Agamennone alla fine della guerra, gli si mise dinnanzi e gli ordinò di fondare, su quella terra di collina, un villaggio da dedicare alla madre, Teti.
Achille e Teti scomparvero e un attimo dopo la fiamma del fuoco del bivacco si ingrandì spaventosamente e tutti gli uomini si svegliarono: trovarono Automedonte madido di sudore, in piedi, che riferì loro quanto avesse vissuto.
Il giorno dopo (11 maggio 1181 a.C., ndr), attorno al piccolo tempio eretto sul pozzo sacro, spuntarono una dozzine di rozze capanne e Automedonte, dopo aver officiato i riti sacri che gli furono impartiti da bambino, dichiarò solennemente: “LA CITTA’ CHE HO FONDATO SI CHIAMERA’ TEATE!”
Tutta questa storia, ovviamente, è la mia versione della leggenda della fondazione di Teate Marrucinorum…
Daniele Mancini, a Teate
Bella la storia di Daniele. Delicata e simpatica!
Grazie Margherita, grazie per leggermi
Bellissimi racconti….mi è sembrato di essere presente.io attualmente vivo a Chieti…zona Civitella
Grazie mille, grazie e continui a leggermi