LA MANNAIA DI FRANCESCHINI COLPISCE ANCHE IL CAPOLUOGO TEATINO
L’argomento ha il sapore del “provincialismo” ma chi scrive non poteva esimersi dal pronunciare un commento su quanto l’attuale Ministro della Cultura, Dario Franceschini, ha decretato. L’ “editoriale” è realizzato a quattro mani: sono in compagnia di Stefano Fagnano, operatore commerciale di Chieti che gestisce il blog Fronte Comune Teatino su un noto social network: è un acerrimo critico costruttivo di quanto accade in città, con commenti sempre pieni di verve e ironia.
Le “riforme Franceschini” sul MIBACT hanno stravolto il mondo della cultura in Italia, che aveva si bisogno di uno svecchiamento ma non di un tragico epilogo… Eccola, a grandi linee. Nel 2014, nata come risposta alle necessità di risparmio imposte dalla «spending review», ha provocato, oltre alla creazioni dei fatidici poli museali, un generale indebolimento della difesa del territorio e del paesaggio a causa del nuovo ruolo delle Soprintendenze, fino ad allora indispensabili bracci operativi sul territorio, ridotti e senza autonomia, con una sorprendente crescita della struttura del Ministero romano, sempre più potente e distante da chi lavora nelle realtà periferiche.
A fine 2019, invece, non domo, il prode ministro Franceschini, è riuscito a far approvare il «Nuovo regolamento di riorganizzazione del Mibact»: se l’Abruzzo e la sua storica Soprintendenza con sede a Chieti, istituita nel 1959 da Valerio Cianfarani dopo anni di lotte politiche, nel 2014 ha avuto solo la momentanea suddivisione con la città de L’Aquila e i problemi legati al sisma del 2009, con la nuova riforma Franceschini ha subito una drastica divisione.
La riforma ha inteso, dunque, diminuire l’eccessiva dimensione di alcune Soprintendenze che coprivano territori troppo ampi e densi di luoghi della cultura, per renderne, secondo Franceschini e i sui “bravi”, un migliore servizio al pubblico.
La suddivisione, in Abruzzo, ha visto da un lato la Soprintendenza del Cratere de L’Aquila assorbire l’intera provincia di Teramo che, per la presenza della fascia costiera, ha problematiche più simili alla depauperata sede di Chieti cui resta solo l’ambiziosa provincia di Pescara.
Il discorso, ahinoi, giunge alla nostra città, Chieti! Chi scrive vi sfida a trovare un’altra città, come Chieti, appunto, in grado di seppellire le proprie origini, nobili e guerriere, sotto uno strato imbarazzante di indifferenza ed inerzia. Anche e soprattutto quando le stracciano via di dosso l’abito più bello e prestigioso che le rimane…
È quanto sta avvenendo ormai da anni. Soprattutto, è quanto avvenuto in questi mesi con prima l’annuncio e poi l’ufficialità dello scippo più perfido che si potesse immaginare, per una città adagiata sulle sue secolari pietre, per grazia ricevuta divenuta per decenni custode dell’archeologia regionale in virtù delle sue meravigliose vestigia.
La Soprintendenza unica regionale ai beni archeologici è ormai un ricordo. Il Ministro Franceschini è riuscito a demolire, con un colpo scientificamente assestato, l’ultima colonna che sorreggeva la dignità teatina nel suo secolare ruolo di capoluogo. Mezza regione di competenza a L’Aquila (che avrebbe dovuto perderla la sede) e l’altra metà a Chieti. Ma non finisce qui, perché il capoluogo di Regione e la sua influente banda politica l’ha promesso: “Non basta, vogliamo tutto!”
Qualcosa induce a pensare che le guerre, quelle politiche e moderne, non siano affatto finite e riserveranno ancora tanto veleno alla nostra città.
Un mistero aleggia sulle nostre teste: cosa diavolo è successo negli ultimi 50/60 anni allo spirito di questa città, quello guerriero che per qualche millennio ha reso Chieti la piccola capitale di una bella porzione di territorio abruzzese?
Perché i gladiatori di ieri, oggi sono ubbidienti pedine pronte ad accettare ogni scippo istituzionale, qualsiasi atto ostile al tuo ruolo di Capoluogo?
Cosa porta ad accettare in silenzio la fine di oltre tremila anni di evoluzione, da villaggio preistorico, a Municipio romano fino a capitale dell’Abruzzo Citeriore?
La propria storia non va solo ricordata o sbandierata… Andrebbe, soprattutto, onorata. E non ci riusciamo più, ormai, da troppo tempo!
Stefano Fagnano – Daniele Mancini
Seguendo un altro percorso, sembra di leggere le stesse amarezze del nostro Desiderato Scenna in “Archeologia teatina”.
Grazie per leggermi, Armando e ti ringrazio per il nobile paragone