LA MIA MATRONA E IO – UN RACCONTO SU TEATE – seconda parte
ATTENZIONE: questo racconto contiene parole e situazioni violente o erotiche o di qualsiasi altra natura non adatte ad un pubblico di persone sensibili o comunque di età inferiore a 18 anni. La lettura da parte di utenti al di sotto della fascia indicata è VIETATA!
Per chi avesse perso la prima parte del racconto, clicchi qui. Teate Marrucinorum è sempre protagonista!
Buona lettura.
Corre l’anno 869 A.u.c. (Ab urbe condita, 869 anni dalla fondazione di Roma corrispondente al 117 d.C., ndr), durante i primi giorni del mese di Avgvstus, dopo una malattia contratta l’anno prima in Mesopotamia, il caro Imperator Traianvs Avgvstus muore a Selinunte, in Cilicia (nell’odierna Turchia, ndr), per un colpo al cuore, come dal racconto del messo giunto a Teate.
Traiano viene deificato dal Senato e le sue ceneri sono poste ai piedi della Colonna Traianea, il monumento eretto nel suo Foro per la vittoria nelle Guerre Daciche. Gli succede suo figlio adottivo e pronipote, Adriano (Publius Aelius Traianus Hadrianus).
I quattuorviri teatini dichiarano immediatamente un mese di lutto durante il quale tutti i templi e tutti gli edifici pubblici sono posti a lutto per la perdita del venerato Capo Supremo.
Nell’ultimo anno, la mia vita di schiavo particolare della matrona Aurelia Nonia Corbulone, moglie del quattuorviro Sesto Lusio Corbulone, ha subito alti e bassi. Sono vicino alla mia affrancatura a liberto perché il mio padrone è venuto a mancare qualche mese prima del nostro imperatore e, nel suo testamento, ha dichiarato una manumissio testamento, un atto di ultima volontà che ha sciolto il mio legame da schiavo da qualsiasi obbligo nei suoi confronti.
Aurelia ha subito un pesante contraccolpo, non economico, per la perdita del consorte a causa del legame che, nonostante tutto, univa i due coniugi. A lungo ho tentato di renderla felice alla vecchia maniera, con il consenso della mia Elena, anche lei molto vicina all’affrancatura da schiava.
Un giorno, dopo la consueta mattina alle terme, non più goliardica come un tempo, Aurelia ha chiesto di voler andare al teatro!
Il grande teatro di Teate, in tutto il suo splendore dei marmi colorati, ospita, grazie alla recente sopraelevazione, quasi 5000 spettatori e una compagnia di satira e mimi da settimane mantiene sempre il tutto esaurito. Ma la grande notizia è il desiderio di andare a teatro, sintomo chiaro del volersi rimettere in gioco: dopo i mesi di lutto per il marito e per l’imperatore, la procace Aurelia ha deciso di andare a caccia di uomini e il teatro è uno di luoghi migliori per le sue conquiste.
Posto a una decine di pertiche (circa 300 mt, ndr) di distanza dalla propria abitazione, Aurelia, vestita di tutto punto e piena di gioielli che emettono quel regolare e accattivante tintinnio, attraversa la strada diretta al teatro con passo lento e cadenzato, seguita da me e altre cinque schiave personali. I suoi fianchi ondeggiano sinuosi muovendo le vesti come una leggera brezza smuove le tende di una finestra.
Chiunque la incroci si ferma ad ammirarla: gli uomini fissano immobili e muti il passaggio della donna; le donne non girano la testa per orgoglio, ma seguono con la coda dell’occhio le sue movenze feline. I capelli della sua fluente parrucca bionda, riuniti in una complessa acconciatura a disco, sono coperti dalla sua palla (uno scialle, ndr) rossa. L’elegante stola e la tunica ricamata, che scende fino a terra, sono di alta scuola sartoriale e le fasciano il corpo rivelando ogni dettaglio delle sue curve.
Le apro la strada dell’ingresso e questa momentanea fama mi permette di incrociare lo sguardo di due bellissime ragazze, le giovani figlie del quattuorviro Quinto Nimmio Celso. Dal loro comune sguardo traggo un cenno di assenso, conosciuto in casi come questo: significa appuntamento dietro la scena del teatro, durante la rappresentazione.
Il teatro è già mezzo pieno e, attorno alla struttura, tabernae e venditori di cibarie e bevande hanno le desiderate folle di clienti da appagare. Nella bolgia, ogni donna, ogni matrona, così come ogni uomo, volgono il proprio sguardo come insetti impazziti, attratti da un particolare, dalla prestanza fisica, dall’abito indossato per poter catturare la preda della giornata.
Nel buio dei corridoi, illuminati da tenui lucerne, riecheggiano risate di uomini e urla femminili in preda a euforia: la festa è anche all’esterno, nella summa cavea destinata alla popolazione normale, attraenti e disponibili prostitute, per pochissimi quadranti, solleticano il piacere dei molti uomini presenti.
Aurelia, seduta nella sua poltrona della ima cavea, riceve sparute attenzioni, oggi è il primo giorno di riuscita e non vuole esagerare. Lasciata Aurelia a godersi lo spettacolo, mi dirigo dietro la scena. Le due giovani sorelle mi aspettano all’ingresso degli attori: a pochi passi, un grossa lettiga con quattro enormi schiavi ci conduce a qualche pertica di distanza, ai piedi dell’anfiteatro, oggi deserto.
Appena fermi, le due donne mi denudano e subito accolgono, insieme, il mio membro tra le loro mani e, a turno, nella loro bocca. Nonostante la giovane età, sono piuttosto capaci di svolgere il soave compito. Si fanno chiamare Licoride (famosa attrice di Roma, ndr) e Citeride (da Citera, l’sola di nascita di Venere, ndr) e amano anche rivolgersi dei passionali baci saffici che rendono ancor più eccitante la mia serata teatrale…
I mugolii delle due donne attirano l’attenzioni di ubriachi avventori di una delle vicine tabernae ma, prontamente, vengono tenuti lontani dai possenti portatori di lettiga. Nel frattempo, Citeride si è impossessata della mia verga lasciandosi penetrare non senza ansimare di piacere. Licoride, invece, continua a leccare e mordere i miei capezzoli mentre, in una sorta di triangolo carnale, si lascia stimolare i suoi organi di piacere dalla carnosa lingua della sorella.
Anche Licoride desidera assaporare il mio sesso che, al limite del suo piacere, riesce a soddisfare anche la vogliosa sorella maggiore. Avranno un nuovo racconto da narrare alle amiche!
Quando gli applausi giungono fragorosi dal teatro, già ci incamminiamo per raggiungere le persone che abbiamo accompagnato alla serata, rientrando di soppiatto dall’ingresso attori.
Dopo aver fugacemente salutato le due donne, raggiungo Aurelia e il suo stuolo di corteggiatori che, ahimè per loro, questa sera saranno costretti a rincorrere qualche cortigiana del lupanare di Cornelia, nei pressi dell’ingresso dell’anfiteatro.
Alla mia vista, Aurelia mi rivolge uno sguardo e immediatamente comprendo che è giunto il momento di portarla via: mi faccio largo tra quegli uomini che, dopo un breve cenno di disappunto, lasciano passare la donna.
Fuori, ad attenderci, la lettiga personale di Aurelia ci conduce alla sua abitazione. La mia matrona è molto su di giri e le racconto della mia avventura, eccitandola. Tornati a casa, la mia Elena ci attende nella vasca già calda presente in uno dei triclini: sarò costretto a soddisfare altre due donne ma non posso lasciare che la mia matrona e la mia compagna restino insoddisfatte!
–FINE RACCONTO–
Daniele Mancini