LE NECROPOLI DI TEBE: LA VALLE DEI NOTABILI
Immediatamente a ovest dei templi di milioni di anni, una serie di basse colline delimita un’area chiamata “Valle dei Nobili o dei Notabili“. Si tratta di un complesso straordinario che, ad oggi, è composto da quasi 800 tombe, molte decorate con pitture che, a differenza di quanto si osserva nelle tombe reali, presentano anche scene di vita quotidiana, permettendoci così di osservare, come in un viaggio nel passato, l’universo dell’Egitto di tremilacinquecento anni fa[332].
Nella sua topografia la necropoli si sviluppa da nord verso sud e cosi le tombe dei personaggi illustri dall’inizio della XVIII dinastia sono a Dra’ Abu el Naqa[333], presso la tomba di Amenhotep I, mentre dopo Hatshepsut, la stessa classe di personaggi preferisce una eterna dimora nelle alture di El- Khokha[334] e di Sheikh Abd el-Qurnha[335].
L’età ramesside distribuisce le sue tombe un po’ in tutta la zona, con una certa predilezione per Dra’ Abu el Naga, a nord, probabilmente per restare nei pressi della deposizione di Amenhotep I, che è uno dei fondatori della necropoli e vi è divinizzato; mentre per quella di El Khokha per personaggi notabili di minor peso.
Ma la zona più tipicamente ramesside è quella di Deir el-Medina, al limite meridionale, presso il villaggio degli operai delle tombe regali. Le tombe gentilizie situate più a sud, sono disposte a Gurnet Murrai: si tratta di circa venti sepolture numerate, in prevalenza d’epoca ramesside[336].
Continue ricognizioni condotte in questo territorio, hanno portato al rinvenimento di nuove tombe, inclusi esemplari con pregiati affreschi: ecco che future ricognizioni intensive potrebbero condurre, in tutta la necropoli tebana, novità e nuove prospettive e anche se questa sezione sembrava ben nota, presenta ancora un potenziale altissimo.
Questo lungo periodo, il Nuovo Regno, ha un modello di tomba che è schematicamente descrivibile nel suo sviluppo, anche se naturalmente nella realtà è suscettibile di interpretazioni volta a volta diverse. Le tombe a saff o a “filare” tipiche di Tebe, con le loro terrazze di accesso e i loro portici di facciata, erano rivolte all’esterno e meno curate nelle strutture interne.
Agli inizi della XVIII dinastia, la struttura tipica consta di una porta di ingresso ritagliata nella parete rocciosa, che da accesso a un vano che si allarga a destra e a sinistra assai più che in profondità e al cui centro, proprio davanti alla porta di ingresso, si innesta un corridoio che si sprofonda nella montagna verso occidente e porta a una cameretta al cui fondo è una nicchia.
E’ una struttura a “T” rovesciata, in cui si è voluto vedere un valore mistico[337], ma che comunque certo ne ha uno funzionale: la prima sala è quella in cui si riuniscono i familiari durante le feste che prevedono la frequentazione della tomba; la seconda è destinata al passaggio rituale dalla vita vissuta a quella ultraterrena e culmina nella cameretta finale, nella cui nicchia è una statua del defunto, una stele o una falsa porta, la tipica struttura davanti alla quale si fa l’offerta secondo la tradizione menfita e che, importata da Menfi in ambiente tebano già dalla XI dinastia, compare nelle tombe più sontuose.
La deposizione vera e propria del corpo entro un sarcofago è al fondo di un pozzo e di una camera sepolcrale connessa: là il morto riposa con il corredo di cui è stato provvisto per l’Aldilà.
La tipica struttura che divide il diwan, la parte pubblica, e lo harim, la parte privata, tanto della casa come del tempio, si presenta così anche nella tomba. Ma, a partire dal Nuovo Regno, il diverso valore delle due sezioni è tipicamente sottolineato dal tipo di decorazione delle loro pareti che, nella prima camera, hanno rappresentazioni che ricordano la vita del titolare della tomba e, nel corridoio che si addentra nella montagna, ricordano invece le cerimonie che ne accompagnano i funerali. Questo schema, che entra in uso verso la metà della XVIII dinastia, tende ad arricchirsi di strutture a pilastri e colonne a partire da Amenhotep III e quindi, in età ramesside, con esempi di estrema complicazione[338].
Un tipo particolare di tomba si trova, all’estremità meridionale della necropoli di Deir el-Medina, in un cimitero in uso dalla fine della XVIII fino alla XX dinastia e che è connesso con il villaggio delle maestranze addette alle tombe regali. Si hanno tombe rupestri del tipo già descritto ma anche tombe caratterizzate da un pyramidion in mattoni crudi, sulla cui facciata orientale vi è una nicchia con figurazione di adorazione del sole nascente e che contiene una cameretta con funzione di diwan. Una tettoia davanti alla porta del vano proteggeva i visitatori e ne ampliava le capacità.
In questo processo c’è anche un filone popolaresco che si va affermando specie all’inizio dell’età ramesside e che appare soprattutto nelle tombe di Deir el-Medina, dove un modo sbrigativo e vivacissimo di pittura rinnova temi e tecniche, dimentica delle eleganze e degli equilibri della classicità, in un popolaresco senso di vita [339].
Per tutto l’Asasif si estende una serie di altri sepolcri simili per impostazione, poiché tutti caratterizzati da un pozzo di luce cui si accede dall’esterno, dalla cinta che racchiude un cortile in vista, da uno svilupparsi di sale sotterranee a pilastri con testi arcaizzanti. I vari elementi della struttura possono essere combinati in modo diverso.
La serie di queste tombe, per lo più di ministri delle Divine Adoratrici di età saitica, è una splendida catena di monumenti, notevoli tutti per la loro impostazione architettonica, per i testi che contengono e per la decorazione di rilievi che, con estrema eleganza, rivalutano e rivivono un patrimonio figurativo classico[340].
Con l’età tolemaica e poi romana, la necropoli tebana si limita a riadoperare le centinaia di tombe ormai troppo antiche per avere proprietari e curatori e vi si ammassano, in sepolcreti comuni e disordinatamente, i morti provvisti di modesti corredi.
Abbandonato per tutto il Medioevo e buona parte dell’età moderna, l’occidente tebano è stato, con la riscoperta ottocentesca dell’Egitto antico, uno dei più sfruttati terreni di caccia di scavatori al servizio dei grandi raccoglitori di antichità quali il Bernardino Drovetti o Henry Salt. Esempi di pittura egiziana sono entrati nei musei, con risultati talvolta fatali per le tombe da cui sono state strappate alcune splendide scene e figurazioni[341].
Su queste necropoli sono state costruite numerose abitazioni private, che in molti casi incorporano parte delle tombe stesse, utilizzate come cantine o stalle per il bestiame. Questo fenomeno non è recente ed è stato ampiamente descritto dai viaggiatori del secolo scorso; tuttavia, in tempi recenti, è sempre stato causa di gravi problemi e di danneggiamenti alle delicatissime pitture parietali.
In assenza di una rete di scoli e fognature, le acque usate vengono assorbite dai calcari che costituiscono la montagna tebana e aumentano, così, l’umidità delle pareti delle tombe, causando alterazioni o distacchi nelle pitture parietali[342].
Da qualche anno a questa parte, il Consiglio Superiore delle Antichità ha deciso di espropriare molte di queste abitazioni e raderle al suolo, iniziando una nuova cultura della salvaguardia della necropoli tebana[343].
Daniele Mancini
Per ulteriori approfondimenti:
[332] WEEKS, K. R., (a cura di), La Valle dei Re. Le Tombe e i Templi funerari di Tebe Ovest, VERCELLI, 2001, pp.29-30
[333] Un aspro pendio con circa ottanta tombe numerate.
[334] Una piccola collina con alcune tombe dell’Antico Regno e circa quaranta del Nuovo Regno
[335] Così denominata dal nome di un mitico sceicco musulmano, ha oltre centocinquanta tombe numerate
[336] DONADONI, S., Tebe, MILANO, 1999, pp. 127-128
[337] BOMANN, ANN H., The private chapel in ancient Egypt : a study of the chapels in the workmen’s village at el Amarna with special reference to Deir el-Medina and other sites, LONDON 1991, p. 113
[338] DONADONI, 1999, p. 129
[339] BONGIOANNI, A., Luxor e la Valle dei Re, VERCELLI, 2005, pp. 228-229
[340] DONADONI, 1999, p. 132
[341] DONADONI, 1999, p. 134
[342] SILIOTTI, A., La Valle dei Re, VECELLI, 2004, p. 140
[343] BONGIOANNI, 2005, p. 230