MOHENJO DARO, DALLA SCONOSCIUTA CIVILTA’ DELL’INDO
Nel periodo in cui furono costruite le prime piramidi in Egitto, nel subcontinente indiano stava sorgendo una città “senza dio”: Mohenjo Daro, (letteralmente, il Tumulo dei felici viaggiatori) nell’odierno Pakistan, individuata nel 1922, presenta ancora diversi quesiti archeologici da risolvere, inclusa la ragione del suo crollo nel II millennio a.C.
Anche Sir Mortimer Wheeler, l’ultimo direttore del Servizio Archeologico Anglo-indiano, dopo la separazione dalla Corona Britannica, eseguì nel 1950, per conto del giovane Stato del Pakistan, nuovi scavi con l’intento di raggiungere strati più antichi.
Dotata di “moderni” comfort, tra cui servizi igienici in ogni casa, smaltimento dei rifiuti in comune agli angoli della strada, non meno di 700 pozzi per acqua dolce e un sofisticato sistema di drenaggio, Mohenjo Daro era tra i più grandi insediamenti della Civiltà della Valle dell’Indo, che si estendeva per oltre un milione di chilometri quadrati tra l’odierno Pakistan, l’Afghanistan e l’India.
La civiltà era molto avanzata e alcuni reperti provenienti da Mohenjo Daro, Harappa e altri insediamenti, possono contribuire a farne di una zona con uno dei più antichi sistemi di scrittura nel mondo, nato in modo indipendente.
Lungo le strade a schema ortogonale di Mohenjo Daro, le abitazioni quasi intatte, composte da muri in mattoni cotti, mostrano un periodo dell’Età del Bronzo asiatica ancora vico. Il Great Bath, un edificio che all’interno di un deambulatorio pilastrato presenta un bacino, sembra trovarsi in attesa di accogliere nuovi avventori, i nuovi turisti e nuovi archeologi, ma attività e scavi, in tutto il sud del Pakistan, incluso a Mohenjo Daro, sono attualmente sospesi, meno a causa del coronavirus e più a causa di problemi di finanziamento e delle condizioni del suolo.
La Civiltà della Valle dell’Indo, sopravvissuta almeno fino al XVIII secolo a.C., rivaleggia, per antichità, a quelle del Vicino Oriente: la prima città dell’Indo ad essere scoperta, per caso, nel XIX secolo, fu Harappa, che sarebbe stata sistematicamente scavata molto più tardi. Mohenjo Daro fu riportato alla luce dallo storico e archeologo indiano Rakhaldas Bandyopadhyay ma, ad oggi, è ancora sconosciuto il nome della città di un tempo perchè, se le iscrizioni trovate in città dicono come si chiamava, la scittura dell’Indo rimane ancora da decifrare.
Gli scavi di Mohenjo Daro iniziarono alla sua scoperta e nel 1922-1930 furono condotte esplorazioni archeologiche più scientifiche sotto la direzione di Sir John Marshall, direttore generale del Servizio archeologico dell’India nel 1906-1928.
Si è scoperto che il popolo dell’Indo non solo era in possesso di conoscenze tali per una sofisticata pianificazione urbana, si era dotata di un importate sistema di irrigazione delle colture, riso in primis, possedeva una fondamentale tecnica di metallurgia, padroneggiava un tipo di scrittura e utilizzava sistemi di misurazione nel locale commercio di beni e animali.
Questa standardizzazione ha aiutato le popolazioni dell’Indo a stabilire una rete commerciale internazionale e a stabilire colonie/emporia mercantili in regioni straniere, come attesta la scoperta di sigilli con scritte indù fino al Golfo Arabico, nella città di Ur, in Mesopotamia, e Lothal, Gujarat, in India.
Il sistema di scrittura della Civiltà dell’Indo è comunemente associata ai Sumeri ma anche agli antichi cinesi lungo il fiume Huang He. Sebbene condivida alcuni elementi con altre paleoscritture, la forma dell’Indo ha elementi unici, suggerendo che potrebbe essersi sviluppata a livello indigeno.
I primi segni su vasellame sono ascrivibili a 6.500 anni fa e furono trovati ad Harappa, a circa 5.300 anni fa sono emersi scritti più chiari, mentre la migliore e più recente testimonianza è riscontrabile su sigilli in uso intorno al 1850 a.C. circa, ancora non identificati.
Alcuni studiosi della scrittura della Valle dell’Indo ritengono che sia stata generalmente utilizzata da un’élite sociale per registrare e controllare le transazioni di natura economica, come strumento amministrativo e per scopi religiosi, con un senso scrittorio che andava da destra verso sinistra.
Allo stato attuale, sulla base di scavi e analisi di precedenti materiali rinvenuti, la convinzione è che la scrittura dell’Indo si sia evoluta nelle valli del fiume Indo e del Ghaggar-Hakra e nel Baluchistan, ora in Pakistan, a partire dal primo periodo di Harappa.
Il suo sviluppo indipendente è stato postulato, nel 1924, dagli esperti del British Museum, C.J. Gadd e Sidney Smith, che studiavano le fotografie dei sigilli pubblicati da Marshall nel The Illustrated London News, un settimanale apparso dal 1842 al 2003.
Gli studiosi ritengono, comunque, che la scrittura dell’Indo fosse una fusione di simboli e formule, nati in modo indipendente anche se non si pdeve escludere completamente la presenza di influenti legami commerciali e culturali tra il Vicino Oriente e il subcontinente.
Il retro della banconota da 20 rupie pakistana mostra un’immagine di Mohenjo Daro, dal 1980 elencata come patrimonio mondiale dell’UNESCO. Tra gli altri luoghi, furono rinvenuti sigilli dell’Indo nella parte più antica della città di Ur, luogo di nascita del profeta Abramo. Alcune teorie identificherebbero il “Re Sacerdote” di Mohenjo Daro, la meravigliosa scultura di un uomo assiso, come il Patriarca Abramo.
ll Re Sacerdote è realizzato in steatite, riporta una capigliatura tirata all’indietro, una barba pulita e tagliata, una fascia con un intarsio circolare sulla fronte e un panno è appeso su una spalla, il semplice indumento che i Musulmani indossano mentre eseguono il santo pellegrinaggio. Ovviamente non esitono prove a sostegno dell’associazione al Re Sacerdote con Abramo!
Un altro manufatto molto interessante, rinvenuto a Mohenjo Daro, è una sensuale statuetta nuda in bronzo denominata la Ragazza Danzante. Alta soli 10,8 centimetri, seno piccolo, fianchi stretti e gambe e braccia lunghe. Indossa una collana e una pila di 25 bracciali sul braccio sinistro, che poggia sulla sua gamba sinistra distesa. Indossa due bracciali sul polso destro e altri due sopra il gomito destro: la mano destra poggia sul fianco. La sua testa, con i capelli arrotolati in una treccia avvolta, è leggermente inclinata all’indietro e la sua gamba sinistra è piegata al ginocchio come se stesse per iniziare una danza.
Entrambe le statuette, rinvenute negli anni ’30 da John Marshall, furono poste in mostra presso il National Museum New Delhi, ma al momento della divisione tra India e Pakistan, i funzionari di entrambi i paesi concordarono di dividere il materiale culturale tra di loro: il Re Sacerdote è tornato in Pakistan e la Ragazza Danzante è esposta a Bharat.
Nonostante la statuetta del Re Sacerdote, nessuna traccia di nessuna ideologia religiosa o adorazione ad alcun monarca è stata identificata in Mohanjo Darom. Gli storici suggeriscono che in assenza di prove della monarchia, Mohenjo Daro avrebbe potuto plausibilmente essere simile a una città-stato con un governo proto-democratico.
Allo stato attuale degli studi, è difficile giungere a conclusioni sul sistema di religiosità in un’area vasta come la valle dell’Indo. Forse un intero pantheon esisteva ma fino a quando la scrittura non sarà decifrata, numerose saranno le speculazioni su questa grande civiltà.
Nebulose anche le questioni circa il crollo definitivo della Civiltà della Valle dell’Indo. Gli esperti non sono riusciti a trovare prove di distruzione: esondazioni fluviali, cambiamenti climatici, invasioni straniere. Un articolo pubblicato su Nature Scientific Reports nel 2015, basato su reperti rinvenuti a Bhirrana, in India, suggerisce che un cambiamento dietetico, con l’arrivo del riso dall’Asia orientale, abbia stimolato un graduale processo di disurbanizzazione e decremento demografico.
Sarebbero opportuni nuovi scavi archeologici, ostacolati delle condizioni del suolo e dell’innalzamento del livello dell’acqua, per i quali, un comitato consultivo tecnico per Mohenjo Daro, ha preparato progetti che sfruttino le nuove tecnologie disponibili per aumentare le indagini non distruttive. Inoltre, la conservazione è essenziale anche perché il sito è minacciato dall’inquinamento, dalla salinizzazione del suolo e dai numerosi turisti.
La pianificazione è in corso e i fondi dovrebbero essere presto disponibili allo scopo e presto potranno essere ampliati gli studi sulla comprensione dell’antico sito di Mohenjo Daro e la sua fine.
Daniele Mancini
Per ulteriori info:
- M. Wheeler, Early India and Pakistan (to Ashoka), Londra 1959
- M. Wheeler, The Indus Civilization (The Cambridge History of India), II ed., Cambridge 1960
https://youtu.be/dkIIJDWdNl8