giovedì, 21 Novembre 2024
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NUOVE LUCI SULLA BASILICA ROMANA DI ASHKELON, IN GALILEA,

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Nell’anno 363 d.C., un terremoto lungo la faglia del Mar Morto, scosse i territori della Galilea, distruggendo numerosi dei centri circostanti. Il cosiddetto “terremoto della Galilea del 363” ha anche raso al suolo il più grande edificio che i Romani abbiano mai eretto in questa zona, la grande basilica di Ashkelon/Ascalona.

Ricostruzione 3D dei restauri ad Ashkelon

Lunga circa 110 metri per 40 metri di larghezza e caratterizzata da un colonnato alto dai 12 ai 13 metri, la basilica fu inizialmente eretta al tempo di re Erode il Grande, completamente in pietra, noto anche per essere un monarca vassallo di Roma.

Il re aveva notoriamente una mania per la costruzione di edifici monumentali anche se alcuni, a lui associati, potrebbero essere stati effettivamente costruiti o completati da altri. I resti del monumento sono oggi fruibili grazie al progetto dell’Israel Nature and Parks Authority in collaborazione con l’Israel Antiquities Authority, un ampio progetto di restauro della basilica inclusa nel Parco Nazionale di Ashkelon.

La basilica è stata rinvenuta e parzialmente scavata all’inizio del XX secolo dall’archeologo John Garstang, che sarebbe diventato direttore delle antichità durante il mandato britannico di controllo della Palestina. Garstang, però, scavò con le trincee e ricoprì le rovine rinvenute nuovamente come buona pratica, per allora, di conservazione.

Gli scavi del tell di Ashkelon sono ripresi nel 1985 nella campagna diretta da Leon Levy in cui è stato possibile portare alla luce anche un odeon, un piccolo teatro, ai margini della basilica stessa.

Nel 2016 sono ripresi gli scavi della basilica sotto l’egida dell’IAA in una missione guidata da Rachel Bar Natan dalla quale si rinvennero statue, pilastri, capitelli e tanti elementi architettonici in marmo importato. Molti elementi dell’edificio sono stati, purtroppo, spoliati nel corso dei secoli ma tanti sono rimasti in situ.

Se oggi una basilica tende ad essere associata ad una chiesa cristiana, in epoca romana era un edificio civile adoperato per assemblee e tribunale. La basilica di Ashkelon/Ascalona era composta da tre parti, una navata centrale e due navate laterali, suddivise dagli alti pilasti di 12-13 metri. L’edificio ha avuto due fasi e il rinvenimento di quella attribuibile a re Erode è stata una sorpresa.

Anche lo storico giudeo-romano Flavio Giuseppe descrisse l’eccezionale e generosa attività edilizia pubblica di Erode, anche nel contesto urbano di Ashkelon. Secondo lo storico, Erode era ossessionato dalla monumentalità perché, probabilmente, così si addiceva a un monarca ellenisticamente ispirato nonché emulatore degli illustri governanti dei tempi precedenti.

Successivamente, nel II secolo d.C., la basilica fu rinnovata sotto la dinastia dei Severi che regnò sull’Impero Romano tra il 193 e il 235: secondo Ganor, in questo periodo è arrivata la fase marmorea della struttura. Per quanto monumentale e colossale possa essere stata, la costruzione erodiana non includeva il marmo, non sempre disponibile in quel periodo. Ganor ricorda che il suo precedessore, Garstang, aveva trovato centinaia di marmi e statue provenienti da tutto il Mediterraneo.

Ashkelon/Ascalona è stata una delle città più antiche della Palestina romana e al tempo di Erode, era una delle città più ricche della zona che già vantava edifici decorati con marmi e statue, ricchezze che ne avrebbero finanziato al marmorizzazione. Sembrerebbe che la famiglia di Erode provenisse da questa città e, quindi, ne nutriva una particolare predilezione.

I terremoti che colpirono il Mediterraneo orientale nella seconda metà del IV secolo d.C. distrussero completamente la basilica, che non fu mai ricostruita. Tacce delle scosse sono visibili sulla pavimentazione marmorea della seconda fase che, però, avrebbe permesso agli archeologi di identificare il pavimento erodiano composto da mosaici bicromi.

Dopo i terremoti, dunque, l’edificio civile più grande del territorio fu abbandonato lasciando i marmi alla mercé dei conquistatori successivi: durante il periodo musulmano, alcuni marmi furono riutilizzati per costruire strutture all’interno del parco della basilica; durante il successivo periodo ottomano, il marmo fu riutilizzato per la pavimentazione di altri edifici, a Jaffa, secondo Ganor. Alcuni dei marmi della basilica si trovano, infatti, nella più grande moschea di Giaffa, costruita nel XIX secolo.

I processi di anastilosi e restauro procedono speditamente e gli archeologi stanno ricostruendo quanto possibile della basilica romana, utilizzando il marmo rimasto nel sito. Quando avranno terminato, il colonnato dovrebbe avere da 15 a 17 delle antiche queste colonne e, per la prima volta dall’anno 363, la basilica risorgerà di nuovo.

 

Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini

Per ulteriori info: IAA

Erode il Grande

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