NUOVE TECNOLOGIE SFRUTTATE PER LA CONSERVAZIONE DEI DIPINTI FUNERARI ETRUSCHI
Le nuove tecnologie analitiche da tempo sono al servizio dell’archeologia e un recente studio ha permesso di ri-scoprire alcune scene di dipinti funerari presenti in una delle tombe monumentali etrusche dipinte della Necropoli monumentale di Poggio Renzo a Chiusi (SI), la Tomba della Scimmia.
Gli Etruschi hanno realizzato dettagliate rappresentazioni pittoriche all’interno delle loro tombe ma il trascorrere del tempo e l’averle portate alla luce ha permesso che alcune siano, oggi, solo in parte visibili e che gran parte del loro colore sia andato perduto.
Le tombe dipinte della Necropoli monumentale di Poggio Renzo a Chiusi conservano un gruppo notevole di dipinti funerari appartenente alla prima metà del V sec. a. C.: sono rappresentate soprattutto scene di ludi agonistici, ma anche di spettacoli popolari, di musica, di banchetti, con soggetti analoghi a quelli delle tombe dipinte arcaiche di Tarquinia; la tecnica realizzativa è più semplice e modesta rispetto a quella delle pitture tarquiniesi.
Secondo Gloria Adinolfi, ricercatrice presso la Pegaso S.r.l. Archeologia Arte Archeometria, di Roma, chi scrive ha il grande piacere di conoscerla personalmente, in una recente presentazione all’incontro annuale (virtuale) dell’Archaeological Institute of America e della Society for Classical Studies, denuncia la significativa perdita di informazioni sulla policromia dei dipinti conservati, con particolare riguardo ad alcuni colori specifici a causa della loro composizione chimico fisica.
La Adinolfi ritiene che la miglior sopravvivenza al passare del tempo di alcuni colori rispetto ad altri potrebbe fornire una visione distorta di come apparivano i dipinti funerari al momento in cui furono realizzati: ad esempio, alcune tonalità di verde tendono a non sopravvivere bene, mentre il rosso, spesso, lo fa perché realizzato con pigmenti che sembrano essere più resistenti, lasciandolo come colore dominante ma alterando la corretta percezione della policromia originale della decorazione pittorica.
Per salvaguardare i dipinti, i ricercatori hanno utilizzato la tecnica MHX, acronimo di Multi–illumination Hyperspectral eXtraction, una tecnica che sfrutta un sensore multispettrale che restituisce un’immagine multibanda, che permette di acquisire dozzine di immagini nelle bande di luce visibile, infrarossa e ultravioletta poi elaborate mediante algoritmi statistici sviluppati da uno dei membri del team di ricerca, Vincenzo Palleschi, ricercatore senior presso la sede di Pisa del Consiglio Nazionale delle Ricerche italiano.
Secondo Palleschi, la tecnica può rilevare anche il blu egiziano che ha una risposta molto specifica in una singola banda spettrale. Il team, inoltre, ha anche analizzato i resti residui di altri colori rimanenti per aiutare a determinare quali colori fossero presenti nel dipinto funerario.
Combinando l’MHX e le analisi del colore, il team ha riportato alla luce alcune scene scomparse nelle rappresentazioni della splendida Tomba della Scimma, rivelando numerosi dettagli paesaggistici che sembravano perduti, dalle rocce, agli alberi e all’acqua.
Nella Tomba della Scimmia, scoperta nel 1846 da Alessandro François, così denominata perché in una raffigurazione della tomba è raffigurata una scimmia su un albero, i ricercatori hanno scoperto anche i dettagli di un dipinto raffigurante un individuo. Ad occhio nudo, la rappresentazione pittorica sembra riportare una sfocatura su base rossa ma dopo che l’MHX e le analisi del colore sono state completate, è venuta alla luce una figura umana che trasportava un oggetto, con numerosi dettagli dei capelli e del viso.
La ricerca del team è in corso e in futuro potrebbero essere rivelati altri interessanti dettagli.
Daniele Mancini
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