Pompei, dal mio punto di… vista! (seconda parte)
Un seconda carrellata di foto sulla Pompei attuale vista da me!
Buona visione.
“Molte sciagure sono accadute nel mondo, ma poche hanno procurato tanta gioia alla posterità. Credo sia difficile vedere qualcosa di più interessante: guardando oltre la spalliera si vede il mare e il sole al tramonto. Un posto mirabile, degno di sereni pensieri”. Johann Wolfgang Goethe, Viaggio in Italia, 1817.
Lo scrittore Luigi Settembrini commenta così a proposito dei calchi: “E’ impossibile vedere quelle tre sformate figure, e non sentirsi commosso..Sono morti da diciotto secoli, ma sono creature umane che si vedono nella loro agonia. Lì non è arte, non è imitazione; ma sono le loro ossa, le reliquie della loro carne e de’ loro panni mescolati col gesso: è il dolore della morte che riacquista corpo e figura…. Finora si è scoverto templi, case ed altri oggetti che interessano la curiosità delle persone colte, degli artisti e degli archeologi; ma ora tu, o mio Fiorelli, hai scoverto il dolore umano, e chiunque è uomo lo sente”.
Abbandonata per secoli e coperta da ceneri e polveri, Pompei è tornata alla luce a partire dalla fine del ‘700. In poco più di un secolo è stato possibile far riemergere dall’oblio la testimonianza di una tragedia senza fine. Pompei è una parte integrante della cultura popolare, fonte di ispirazione per artisti di ogni genere. Il compositore Wolfgang Amadeus Mozart compose Il Flauto Magico dopo aver visitato ed apprezzato il Tempio di Iside. Lo scrittore Edward Bulwer-Lytton ha dato vita, verso la metà dell’800, ad un romanzo chiamato Gli Ultimi Giorni di Pompei, a cui si sono ispirati diversi film nel corso del secolo successivo.
Pompei non è solo un patrimonio archeologico dal valore inestimabile, ma una punta d’incontro tra passato e presente, il testimone oculare di una civiltà tanto lontana quanto vicina a noi moderni. La fotografia di una tragedia che ha spento l’intera città, una meraviglia che da poco più di due secoli è continuata a vivere conservando intatto il suo antico splendore. Di allora, vagabondando e guardando in giro, si notano le piccole tracce familiari delle abitazioni e delle attività quotidiane, la traccia dei carissimi basolati delle strade, le tracce dei recipienti impressi sui banconi in pietra delle osterie, le anfore nelle cantine conservate per secoli e ancora indisturbate: tutto restituisce la solitudine e la malinconia mortale di questo posto, mille volte più solenni se la furia del vulcano avesse spazzato la città dalla terra e l’avesse spinta in fondo al mare…
Daniele Mancini