sabato, 23 Novembre 2024
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POMPEI – seconda parte

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“Molte sciagure sono accadute nel mondo, ma poche hanno procurato tanta gioia alla posterità. Credo sia difficile vedere qualcosa di più interessante: guardando oltre la spalliera si vede il mare e il sole al tramonto. Un posto mirabile, degno di sereni pensieri”. Johann Wolfgang Goethe, Viaggio in Italia, 1817.


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Pompei. Raffigurazioni erotiche in un Lupanare.

Pompei è una città sessualmente disinvolta: il piacere della carne non è un tabù da esercitare nella finta indifferenza generale, ma una pratica sdoganata e condivisa dall’intera popolazione. Un modo molto usato per attirare i cliente da parte delle prostitute è quello di vantare la propria merce in strada davanti al bordello oppure offrirsi nude o con una veste trasparente da una finestra, alla vista di chi passa! I Lupanari, che hanno questo nome perché in latino lupa significa prostituta, sono i luoghi deputati ai piaceri mercenari: sono costituiti, per lo più, da una semplice camera posta sul retro della locanda e frequentati, generalmente, dal ceto medio che approfitta dei bassi prezzi offerti per le varie prestazioni sessuali. In ogni stanza viene praticata una specialità erotica diversa, con tanto di dipinti esplicativi sopra l’ingresso. I letti in pietra sono ricoperti da un giaciglio pieno di paglia o di lana. sulle pareti compaiono scritte di clienti più o meno soddisfatti delle prestazioni o di prostitute e prostituti  che mettono bene in chiaro tariffe e prestazioni, accompagnate da illustrazioni molto esplicite! Il bordello è spesso segnalato all’esterno da scritte molto evidenti, come ad esempio un fallo scolpito sopra un basolo e l’iscrizione HIC HABITAT FELICITAS scolpita sul marciapiedi. A Pompei sono presenti 25 indicazioni di questo genere, collocate soprattutto agli incroci con strade secondarie.

Ma a Pompei è vivace anche l’aspetto ludico: sono, infatti, presenti molte strutture dedite all’intrattenimento della popolazione in cui commedie, tragedie, poesie, musiche e pantomimi, allietano il tempo libero dei cittadini. I luoghi che ospitano queste forme d’arte sono i teatri e a Pompei ce ne sono due: il Teatro Grande e il Teatro Piccolo o acnhe denominato Odeion, ove è possibile assistere, anche oggi, a spettacoli di musica o declamazione di versi. Hanno una struttura a pianta semicircolare e la cavea divisa in due parti. Il Teatro Piccolo è stato costruito agli inizi della colonia romana per iniziativa dei Duoviri che si interessano anche alla costruzione di un’altra grande struttura, l’Anfiteatro, realizzato alla fine della Via dell’Abbondanza.

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Pompei. Scorcio dell’Anfiteatro.

L’Anfiteatro è un edificio molto grande capace di accogliere fino a 20.000 spettatori: è stato costruito  subito dopo la fondazione della colonia, nell’80 a.C. per volere dei Duoviri Caio e Custio Pansa, rispettivamente padre e figlio. E’ collocato in posizione periferica per scongiurare intasamento del traffico della città in occasione degli spettacoli. Qui si svolgono lotte dei gladiatori e nel 59 d.C. uno spettacolo è diventato teatro di una sanguinosa rissa con morti e feriti. Lo scrittore Tacito, negli Annales (XIV, 17), racconta che durante una lotta tra gladiatori, sono nati degli screzi tra gli abitanti di Pomepi e quelli di Nuceria Alfaterna. I Pompeiani non avevano gradito la deduzione a colonia di Nuceria che aveva comportato la perdita, per Pompei, di una parte del suo territorio agricolo. Così dopo una serie di insulti e volgarità scagliatesi a vicenda, si è passati prima alle sassate e poi alle armi, a danno, essenzialmente, dei Nucerini, i più colpiti. Il fatto non è passato inosservato a Roma dove l’Imperatore Nerone presenta la vicenda in Senato e viene decretata la chiusura dell’anfiteatro e il sollevamento dall’incarico di organizzatore dei giochi del Senatore Livineio Regolo, condannato all’esilio. L’interdizione dell’anfiteatro doveva essere di ben 10 anni ma, grazie a Poppea, propietaria di una villa nelle vicinanze, la sanzione disciplinare è stata abbassata a soli due anni!

Nonostante questi atti che ricordano i moderni hooligans, Pompei è una città serena, viva, desiderosa di prosperità e ricchezze. Un terremoto nel 62 d.C. aveva causato non pochi problemi alla popolazione, ma i Pompeiani si sono dimostrati all’altezza della situazione provvedendo in tempi rapidi alla ricostruzione e alla ristrutturazione degli edifici danneggiati.


E’ il 24 ottobre del 79 d.C. (anche se la tradizione indica il 24 agosto…), l’estate è finita e il caldo della bella stagione è terminato; si fa strada nell’aria una temperatura più fresca, il paesaggio attorno assume i colori forti dell’autunno e la gente comincia a riaccendere i bracieri per riscaldarsi nelle notti non più miti. Ma un evento tragico e disastroso sta per mettere la parola fine all’esistenza di questa città.

Il Vesuvio, il vulcano che ha fatto sempre da sfondo alle meraviglie di Pompei, comincia ad eruttare lapilli e gas. Plinio il Giovane, scrittore latino, quel giorno è al posto di comando della flotta romana dislocata a Miseno, insieme alla sua famiglia. Guardando la nube scrive: “Non posso darvi una descrizione più precisa della forma della nube se non paragonarla a quella di un albero di pino. Sembra, in alcune parti, più chiara; in altre è scura a seconda di quanta sia impregnata di terra e cenere”. L’eruzione piroclastica durò poco più di 24 ore ma la nube di gas e ceneri ardenti non concede via di scampo! Complice il vento e la potenza del gettito del vulcano, la nube raggiunge zone limitrofe, arrivando anche a Pompei, dove si ferma la vita! Attimi di paura e terrore sono segnati nei volti e nei gesti di chi cerca di scappare dalla morte, mentre le temperature raggiungono livelli infernali, superiori ai 300 gradi. C’è chi prova a coprirsi il volto, chi per scappare cade dalle scale e non riesce a rialzarsi, chi tenta di nascondersi in una stanza della propria casa, chi prova a fuggire per le strade, uomini, donne, intere famiglie, bambini animali: la morte raggiunge chiunque e non lascia scampo a nessuno. A Pompei, in poco più di un giorno, si ferma la vita, lo splendore, la ricchezza, la sua storia fatta di gente comune, di lavoro e di commercio, di pace.

Lo scrittore Luigi Settembrini commenta così a proposito dei calchi: “E’ impossibile vedere quelle tre sformate figure, e non sentirsi commosso..Sono morti da diciotto secoli, ma sono creature umane che si vedono nella loro agonia. Lì non è arte, non è imitazione; ma sono le loro ossa, le reliquie della loro carne e de’ loro panni mescolati col gesso: è il dolore della morte che riacquista corpo e figura…. Finora si è scoverto templi, case ed altri oggetti che interessano la curiosità delle persone colte, degli artisti e degli archeologi; ma ora tu, o mio Fiorelli, hai scoverto il dolore umano, e chiunque è uomo lo sente”.

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Pompei-Tempio-di-Iside

Abbandonata per secoli e coperta da ceneri e polveri, Pompei è tornata alla luce a partire dalla fine del ‘700. In poco più di un secolo è stato possibile far riemergere dall’oblio la testimonianza di una tragedia senza fine. Pompei è una parte integrante della cultura popolare, fonte di ispirazione per artisti di ogni genere. Il compositore Wolfgang Amadeus Mozart compose Il Flauto Magico dopo aver visitato ed apprezzato il Tempio di Iside. Lo scrittore Edward Bulwer-Lytton ha dato vita, verso la metà dell’800, ad un romanzo chiamato Gli Ultimi Giorni di Pompei, a cui si sono ispirati diversi film nel corso del secolo successivo.

Pompei non è solo un patrimonio archeologico dal valore inestimabile, ma una punta d’incontro tra passato e presente, il testimone oculare di una civiltà tanto lontana quanto vicina a noi moderni. La fotografia di una tragedia che ha spento l’intera città, una meraviglia che da poco più di due secoli è continuata a vivere conservando intatto il suo antico splendore. Di allora, vagabondando e guardando in giro, si notano le piccole tracce familiari delle abitazioni e delle attività quotidiane, la traccia dei carissimi basolati delle strade, le tracce dei recipienti impressi sui banconi in pietra delle osterie, le anfore nelle cantine conservate per secoli e ancora indisturbate: tutto restituisce la solitudine e la malinconia mortale di questo posto, mille volte più solenni se la furia del vulcano avesse spazzato la città dalla terra e l’avesse spinta in fondo al mare…

 

Daniele Mancini

 

Per un approfondimento bibliografico segnalo:

  • Eva Cantarella, Luciana Jacobelli, Pompei è viva, Milano 2013.

 

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