martedì, 3 Dicembre 2024
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Quei Longobardi extracomunitari

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Affrontiamo con questo articolo il primo di interessanti argomenti relativi al periodo Tardo antico  e  Alto medievale, per intenderci del II sec. d.C. fino a quasi il fatidico anno Mille! Iniziamo con i Longobardi, un popolo “barbaro-germanico” che ha “toccato” anche la nostra terra abruzzese. Buona lettura!

Armi, bagagli, baracca e burattini. Da quando, alle soglie dell’era cristiana, il popolo dei Winnili abbandona la Scandinavia per il bacino occidentale della bassa Elba e forma la gens Longobardorum a quando, oltre cinque secoli dopo, re Alboino mette gli occhi sulle fertili pianure italiche, i Longobardi si muovono così. Divisi in fare, un tempo clan familiari e unità militari, con al seguito donne, schiavi, mandrie e bambini, tagliavano i ponti col passato per insediarsi in nuovi territori.

Dopo molto peregrinare, dopo essersi installati in Pannonia, Boemia, nella Savia e nel Norico, dopo aver militato come federati nell’esercito bizantino contro gli Ostrogoti, la loro trasmigrazione nella penisola fu pressoché completa. Certo, Alboino, nel partire verso quella Padania che le sue truppe avevano occhieggiato dalle file imperiali, si era cautelato con gli alleati Avari: se l’invasione non avesse avuto successo, costoro avrebbero consentito ai Longobardi il rientro nella natia Pannonia. Ma così non fu.

Un affresco delle "Storie di Teodolinda" nel Duomo di Monza
Un affresco delle “Storie di Teodolinda” nel Duomo di Monza

L’immaginario costruito sui banchi di scuola si fissa soprattutto su quattro istantanee: Alboino, il conquistatore dell’Italia, che porge a Rosmunda un calice costituito dal teschio del padre costringendola a bere; Rotari, nell’atto di promulgare, di fronte all’assemblea del suo popolo in armi, l’editto che ne porta il nome e che contiene la prima codificazione scritta del diritto longobardo; Teodolinda, la piissima e cattolicissima regina (anche lei, però, responsabile di ammazzatine assortite), sposa prima di Autari e poi di Agilulfo, sodale di papa Gregorio Magno e protagonista della conversione all’ortodossia dei Longobardi ariani e pagani, nell’atto di ricevere la Corona ferrea. Infine, l’Adelchi di Alessandro Manzoni che raffigura la fine della dominazione longobarda nella penisola.

Ma c’è molto di più. Jorg Jarnut, storico dell’Università di Pader-born ma accurato conoscitore di cose italiane altomedioevali, dona un affresco rapido ma completo del popolo guerriero. La ricostruzione si muove su due filoni principali. Da un lato, le vicende belliche e dinastiche dei longobardi, la loro trasformazione progressiva da sanguinario popolo di guerrieri in casta dominante, infine parzialmente romanicizzata.

La progressiva adesione al cattolicesimo e il tentativo, riuscito provvisoriamente e non completamente, di unificare la penisola sotto un’unica corona (col definirsi della strategia papale, destinata a durare circa un millennio, del «divide et impera»). Le lotte coi concorrenti «barbari», in un gioco spregiudicato di alleanze e conflitti, di giri di valzer, matrimoni, omicidi, e con la superpotenza bizantina, tra cui l’incontro che, doveva poi risultare fatale, con i Franchi.

Dall’altro lato, degli spaccati descrivono invece più dettagliatamente la storia sociale longobarda. L’evoluzione da «orda» di popolo in armi verso un potere regio centralizzato, in perenne tensione con i «duchi», capi militari e civili a un tempo, e soprattutto con i ducati autonomi meridionali di Spoleto e Benevento, i meccanismi della cristianizzazione, dall’iniziale paganesimo, all’arianesimo, all’ortodossia cattolica in funzione anche di «instrumentum regni», le modalità di rapporto di quella che fu sempre un’estrema minoranza etnica con le comunità autoctone, dall’iniziale pura e semplice spoliazione dei patrimoni dei patrizi romani a tentativi di integrazione destinati sostanzialmente al fallimento per l’opposizione dei Longobardi più tradizionalisti, non scordando l’urbanizzazione e il diritto.

La massima estensione dei domini longobardi dopo le conquiste di Astolfo (751)
La massima estensione dei domini longobardi dopo le conquiste di Astolfo (751)

Emerge, nella narrazione di Jarnut, soprattutto la figura di re Liutprando. Nelle parole di Paolo Diacono, «fu un uomo di molta saggezza, accorto nel consiglio, di grande pietà e amante della pace, fortissimo in guerra, clemente verso i colpevoli, casto, virtuoso, instancabile nel pregare, largo nelle elemosine, ignaro sì di lettere ma degno di essere paragonato ai filosofi, padre della nazione, accrescitore delle leggi».

Una sorta di Marco Aurelio redivivo, verrebbe da dire. Eppure, anche la descrizione certo più profana che ne fa lo storico mostra un personaggio di tutto rispetto, in grado di dominare come nessun altro, prima e dopo di lui, le sorti della sua gente, perennemente in tensione tra le varie fazioni in lotta per il potere, talmente divisa da consentire, pochi decenni più tardi, a Carlo, non ancora Magno, di sbarazzarsi senza troppa fatica del pur accorto re Desiderio e di porre fine a un’esperienza durata circa due secoli.

 

Per un approfondimento bibliografico:

JARNUT, J., Storia dei Longobardi, STUTTGART 1982

Paolo Diacono, Historia Langobardorum

 

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