SANTA MARIA ARABONA
Prosegue il mio viaggio tra l’antica architettura ecclesiastica della mia regione: la tappa di oggi è a Santa Maria Arabona, a Manoppello (PE)
S. Maria Arabona costituisce l’unico esempio superstite del passaggio dei Cistercensi in Abruzzo e ricorda, con le sue forme, seppur incomplete, a un modello di derivazione francese.
La realizzazione dell’abbazia ebbe luogo grazie alla donazione, nel 1197, da parte dei conti Gentile e Manerio di Pelaria di Manoppello, di un territorio nella diocesi di Chieti, distante uma ventina di chilometri da S. Maria di Casanova, sulla riva destra del fiume Pescara.
Nel 1208, all’epoca della conferma dei possedimenti, l’abbazia possedeva diverse rendite nei territori circostanti e la sua espansione economica durò per tutta la prima metà del XIII secolo, ma solo nel 1259 ricevette dal papa Alessandro IV il privilegio di badia nullius diocesis che, come nel caso di S. Maria di Casanova, significava poter essere sciolti dalla giurisdizione vescovile, anche per tutti i possedimenti.
Fu il vescovo di Chieti a consentire la fondazione e come casa madre fu scelto il monastero dei SS. Vincenzo e Anastasio alle Tre Fontane a Roma.
Il dominio angioino in terra d’Abruzzo si fece sentire in modo forte soprattutto nelle abbazie di Casanova e Arabona, non solo perché i numerosi territori ad esse soggetti erano spesso minacciati dalla nuova nobiltà, ma anche perché basi di controllo militare francesi erano stanziate proprio nei territori limitrofi5.
Nei primi decenni del XIV secolo l’abbazia era ancora florida, ma dal terzo decennio ebbe inizio la fase di decadenza, contemporaneamente agli altri complessi. Nel 1587 morì l’ultimo abate di Arabona e il collegio minoritico di S. Bonaventura l’amministrò per due secoli.
Nel XIX secolo l’abbazia risultava appartenere alla famiglia Zambra, mentre nel 1968 passò in eredità ai Salesiani i quali la cedettero definitivamente alla Curia Arcivescovile di Chieti.
Osservandola dall’esterno, la chiesa si presenta come una grossa croce della quale si avverte subito l’incompiutezza. Presenta un profondo coro con terminazione piatta, costituito dall’accostamento di due cellule, con contrafforti esterni posti sugli spigoli, illuminato da due ordini di finestre, culminanti in un grande rosone superiore, integrato in modo leggibile durante gli ultimi restauri.
Il transetto ha un’altezza tozza equivalente a quella del coro e presenta il braccio settentrionale affiancato alla torre campanaria, la cui presenza ha comportato la traslazione del rosone e dell’ingresso posti sulla parete terminale.
Il rosone aperto su questa facciata è originale e ricalca esempi noti in territorio abruzzese. Al di sotto delle coperture a falde corrono due tipologie di cornici: una a denti di sega (detta borgognona), tipica della tradizione cistercense; l’altra ad archetti pensili su mensole, analoga ad esempi di chiese romaniche abruzzesi.
La facciata, incompleta, testimonia in modo macroscopico l’interruzione dei lavori, ma nello stesso tempo, rende ancora più comprensibile che sui cantieri cistercensi l’organizzazione era tale da provvedere sin dall’inizio sia alle esigenze spirituali che a quelle legate al quotidiano.
Secondo alcuni studiosi, sulla base di un’analisi condotta sull’appato decorativo presente all’intemo della chiesa, ipotizzano cheil cantiere ebbe inizio a partire dal coro e dal braccio meridionale del transetto, estendendosi poi agli altri ambienti e lasciando sospeso il completamento del corpo longitudinale.
Già in origine, al tempo dell’interruzione dei lavori, furono costruiti, sugli spigoli della facciata, due contrafforti che presentano caratteristiche analoghe a quelli visibili lungo il resto del perimetro esterno della chiesa. Gli interventi di restauro del XX secolo sono resi ben visibili attraverso l’uso del laterizio.
Internamente la chiesa si avvicina, nella suddivisione degli spazi, alle abbazie di Fossanova e Casamari, iniziate rispettivamente nel 1187 e nel 1203, per la presenza di volte a crociera costolonate (soprattutto a Casamari) nella navata.
Le campate del coro e dei bracci del transetto presentano costoloni, i quali mancano invece alle crociere della navata, ricostruite più tardi. La campata che precede il coro all’incrocio col transetto presenta una differente costolonatura ed un grosso occhio centrale il quale, se fosse stato costruito il tiburio con funzione di campanile (come era in progetto), avrebbe consentito il passaggio delle funi per le campane.
Secondo gli studiosi del complesso, sul cantiere dovrebbero aver operato maestranze cistercensi in una prima fase di lavori e che poi, allontanatesi dal cantiere, abbiano proseguito i lavori maestranze locali, provenienti da S. Clemente a Casauria5.
Gli edifici del complesso presentano i lati corti orientati parallelamente all’asse Nord-Sud, in modo tale da ricevere la luce e il calore migliori. A partire dal braccio destro del transetto, si incontrano piccoli locali destinati a sacrestia e deposito dei libri, di cui il primo comunica direttamente con la chiesa e il secondo si affaccia all’esterno, sul lato destinato ad ospitare il chiostro.
Si accosta a questi spazi una bella sala capitolare, posta ad una quota leggermente più bassa rispetto a quella della chiesa, che presenta analogie con le sale capitolari di Fossanova e Casamari, attulmente non visitabile.
I locali superiori furono dotati di comunicazione diretta con la chiesa, come era consuetudine per i complessi cistercensi. Generalmente il dormitorio, che nel caso di Arabona ha subito consistenti modifiche, era al di sopra del capitolo e tramite la scala posta nel transetto i monaci raggiungevano velocemente la chiesa in occasione dei notturni.
L’abbazia fu dotata anche di un sistema di canalizzazioni di cui sono visibili ancora le tracce presso il muro di cinta posto sul lato terminale degli edifici a meridione.
Esternamente sono visibili grosse porzioni di murature originali, sebbene siano leggibili apparati murari differenti. La sovrapposizione di interventi condotti in epoche diverse è riscontrabile anche nelle molteplici tipologie di finestre che hanno invaso le facciate dell’edificio.
Il cantiere subì una interruzione alla fine del XII secolo e oltre a lasciare interrotto il corpo longitudinale della chiesa, non fu mai costruito il chiostro, anche se la presenza di alcuni frammenti di capitelli e di colonnine sparsi nel giardino lasci supporre che esistesse almeno in progetto e che i lapicidi stessero lavorando ad alcune porti di esso; oppure, ipotesi personale altrettanto plausibile, gli elementi architettonici sono di riuso e di provenienze dalla villa romana rinvenuta nel territorio circostante.
L’arredo liturgico interno è particolarmente ricco: un tabernacolo, un candelabro, tre dipinti firmati da Antonio Martini da Atri del 1377 decorano la parte del coro, una cappella dedicata all’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme.
Non tutti gli studiosi sono d’accordo sulla datazione del candelabro e del tabernacolo. Secondo Gavini sono coevi al tempo del’inizio della costruzione architettonica, secondo altri sono posteriori e appartengono al periodo tra la fine del XIII secolo e gli inizi del XIV. Anche il loro stile risente del suggerimento offerto dalla Francia.
La particolarità del candelabro o cero pasquale è la presenza
poggia su una base quadrata sulla quale alcuni animali, due cani e un leone, l’altro è mancante, attaccano alle radici la vite: rappresentano le eresie, che minacciano la fede e i cristiani. Il tabernacolo, invece, è una struttura a parallelepipedo i cui spigoli sono decorati da colonnine finemente lavorate. La parte superiore, danneggiata, è sormontata da due piccole guglie.
Daniele Mancini
Foto di Eleonora Sciascia
Bibliografia consultata:
- AA. VV., L’Abruzzo nel Medioevo, Pescara 2004
- I.C. Gavini, Storia dell’Architettura in Abruzzo, II vol., Milano 1927
- M. Moretti, Architettura Medievale in Abruzzo, Roma 1971
- L. Bartolini Salimbeni, A. Di Matteo, Santa Maria Arabona, Pescara 1999