SATURNALIA, LA FESTA TRA LE FESTE ROMANE
I Saturnalia sono una delle feste popolari più diffuse nella cultura romana e si celebravano tre giorni dopo la nuova luna, all’incirca tra il 15 e il 20 dicembre attuali.
Celebrati in onore si Saturno, antico dio romano della semina, i Saturnalia, ricordano il nostro carnevale ma, per la vicinanza al solstizio d’inverno, possono essere assimilati al ciclo festivo tra i nostri Natale e il Capodanno.
Siamo nel mese sacro a Saturno, dicembre, il mese del compimento di tutte le cose: da un lato, è espressione della fine del ciclo annuale e mondano, dall’altro, è il nuovo inizio di un fausto ciclo.
Dicembre esprime lo stato di caos di tutte le cose, dove si arriva all’oscurità più remota, dopo la vecchiaia e la morte di novembre: arriva la dissoluzione caotica delle cose composte che perdono forma. Il Sole giunge nel punto più angusto della parabola discendente, occultandosi e dando l’impressione di scomparire del tutto.
Tutto è tenebra e silenzio e per questo si attuano i Saturnalia, una parodìa dell’Età aurea della perfezione originale, di cui Saturno era indicato come dio dell’oro, dove tutto è rovesciato fino al raddrizzamento finale apportato dall’eroe invitto che nasce, il Sol Invictus, nel suo giorno di nascita, il dì natale.
Dal punto di vista popolare, i Saturnalia sono una festa importante per schiavi e servi e la prima serata è veramente speciale, l’unica in cui possono essere liberi di fare bagordi per strada, bere e mangiare a volontà, darsi alla nullafacenza, dimenticare i duri doveri quotidiani.
E’ la notte dei contrari, con i servi nel ruolo dei padroni, le donne in quello degli uomini, i bambini al posto degli adulti. E’ la notte in cui è lecito impazzire, la classica eccezione che conferma la regola, affinché ogni cosa, il giorno seguente, possa tornare come prima!
Gli ambienti culturali elevati, quello dei poeti, degli scrittori, degli àuguri, dei fini conoscitori della metrica virgiliana, degli eruditi della scienza antiquaria, già dalla vigilia dei Saturnalia, si riuniscono nella casa di qualcuno di loro e discorrono della ricorrenza religiosa, di forme grammaticali, di antichità romane, dei piaceri della vita secondo Platone e Aristotele e di tante altre amenità filosofiche, trascorrendo i tre giorni festivi in dotte conversazioni, il tutto intervallato da lussi e raffinatezze gastronomiche, canti e danze di ancelle, interrotti dalle puntuali argomentazioni virgiliane e da dissertazioni filosofiche pregnanti, senza mai separarsi, se non per il riposo notturno.
Come detto, la tavola s’imbandiva di quanto di meglio offrivano le cucine e le cantine: portate di pesce con contorni di verdure, crema di riso in abbondanza da mischiare con il garum e il latte di capra, maiale macellato al momento e aromatizzato con cento spezie diverse, pavone arrosto agghindando dalle sue penne colorate o cervo arrosto adornato dai suoi palchi, serviti con salse di funghi, fegato d’oca, prelibati ghiri arrosto, un pasticcio di carne di piccione, il tutto innaffiato da tanto vino di cui i romani erano abili produttori con il quale, i convenuti, si scambiavano brindisi e saluti augurali con la locuzione: Ego, Saturnalia…
Daniele Mancini
Fonti bibliografiche:
- Ambrogio Teodosio Macrobio, I Saturnali, a cura di Nino Marinone, classici latini, Torino 1987