giovedì, 21 Novembre 2024
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STUDIO DELLE CERAMICHE PRE-INCAICHE “WARI” CON AUSILIO DI MODERNE TECNOLOGIE

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Il primo grande impero del Perù, lo Wari, si estendeva per più di mille miglia sulle Ande e lungo la costa pacifica dal 600 al 1000 d.C. e i manufatti ceramici Wari rinvenuti forniscono agli archeologi numerose tracce sul funzionamento del potente impero pre-icanico.

In un nuovo studio sul Journal of Archaeological Science: Reports, i ricercatori hanno dimostrato che invece di utilizzare ceramiche Wari “ufficiali”, importate dalla capitale, i ceramisti di tutto l’impero stavano creando proprie ceramiche decorate in tutto e per tutto per emulare il tradizionale stile Wari. Lo studio rivela come, dalle analisi della composizione chimica della ceramica, si sia giunti a questa conclusione.

M. Elizabeth Grávalos, ricercatrice presso il Field Museum di Chicago e autrice principale dello studio, rivela come in questo studio, sia stata esaminato l’idea di cosmopolitismo, di incorporare culture e pratiche diverse in una società e, più in dettaglio, come i ceramisti siano stati influenzati dalla potente Cultura Wari, ma questa influenza si sia mescolata con le loro pratiche culturali locali.

Grávalos afferma che questo modello di cosmopolitismo è una sorta di desiderio di replicare le caratteristiche di un’altra cultura, ma con un tocco locale, un desiderio ci copiare le celebri ceramiche Wari riproducendo la propria versione della ceramica Wari.

Grávalos e i suoi colleghi hanno condotto scavi archeologici in tutto il Perù, lavorando con le comunità locali per scavare i resti millenari di abitazioni, tombe e centri amministrativi, alla ricerca dei modi di vita Wari. Ai ricercatori è stato poi concesso il permesso dal Ministero della Cultura del Perù di portare alcuni campioni di ceramica a Chicago per l’analisi specifiche.

L’argilla proveniente da diverse regioni ha una diversa composizione chimica, quindi lo studio della composizione chimica della ceramica potrebbe dire ai ricercatori se i vasi sono stati prodotti in luoghi diversi o se sono stati tutti importati dalla capitale Wari.

Sono stati prelevati minuscoli frammenti di manufatti ceramici diversi attraverso l’uso di un laser; in seguito il frammento è analizzato allo  allo spettrometro di massa, in contrasto con un gas come l’elio, che misura gli elementi presenti nella pasta di argilla. L’analisi ha mostrato che i vasi scavati in diverse regioni del Perù hanno firme chimiche diverse e sono stati quindi realizzati con argille distinte, dimostrando quanto si sia diffusa la Cultura Wari.

Secondo la Grávalos, i ceramisti locali, che emulano il tradizionale stile Wari, sembrano suggerire un approccio più “dal basso verso l’alto”, con gli artigiani locali che adottano un certo grado di libertà d’azione e controllo creativo. Secondo Patrick Ryan Williams, docente di Scienze archeologiche e direttore dell’Elemental Analysis Facility presso il Field Museum e autore senior dello studio, anche tra i Romani esistevano artigiani locali che operavano a modo proprio, sempre sotto controllo delle autorità. Ma quello che ha messo in evidenza questo studio sulla ceramica Wari è l’agire delle popolazioni locali e l’importanza delle economie locali in cui i coloni Wari avevano i propri centri di produzione e stavano ricreando lo stile di vita Wari dei grandi centri a livello locale, incluso le ambite ceramiche Wari.

Secondo i ricercatori, i modelli di lavorazione rivelati dallo studio delle ceramiche locali potrebbero aiutare a spiegare perché l’impero Wari sia stato in grado di prosperare per così tanto tempo. Williams ritiene, dunque, che la produzione locale, anche in una società cosmopolita con molti collegamenti commerciali, renda una società più resiliente mentre il dipendere da autorità distanti e centralizzate, rende il gruppo molto più vulnerabile socialmente ed economicamente.

Al di là delle lezioni economiche che potremmo imparare dai Wari, Grávalos conferma la bontà dello studio perché sfida alcune delle ipotesi su come funzionino le società pre-incaiche, in particolare quei gruppi umani che sono spesso esclusi dalle narrazioni più ampie della storia del mondo ma di cui è possibile comprenderne la resilienza grazie ai risultati della cultura materiale.

Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini

Per ulteriori info: Field Museum

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