SVILUPPATO UN NUOVO METODO DI CAMPIONAMENTO ARCHEOLOGICO QUASI NON DISTRUTTIVO
Un gruppo di ricerca austro-americano, composto da membri provenienti dal Dipartimento di Antropologia Evolutiva dell’Università di Vienna e dal Dipartimento di Genetica dell’Harvard Medical School, in collaborazione con esperti ungheresi della Eötvös Loránd University, ha sviluppato un nuovo metodo che consenta l’estrazione quasi non distruttiva del materiale genetico dai resti umani di provenienza archeologica. Il metodo consente ad antropologi, archeologi e archeogenetisti di evitare il rischio di gravi danni a manufatti di notevole valore scientifico e patrimoniale, che potranno poi essere approfonditi in ricerche future.
La ricerca bioarcheologica sui resti umani e animali degli scavi archeologici è diventata sempre più importante negli ultimi decenni. Sia a livello nazionale che internazionale, oltre alla ricerca archeologica e antropologica classica, sono ormai di prassi un numero significativo di esami biologici molecolari. Uno dei campi più importanti è l’archeogenetica, quello studio del materiale genetico umano e animale antico che potrebbe aiutare in modo significativo sia l’analisi dell’evoluzione umana che confermare i movimenti dei gruppi umani nei vari periodi archeologici.
La prima ricerca sul DNA antico (aDNA) è iniziata negli anni ’80, ma le vere scoperte metodologiche sono arrivate dopo la fine del millennio. Questo è stato il periodo in cui i metodi di sequenziamento di nuova generazione hanno raggiunto la ricerca bioarcheologica.
Grazie alla ricerca su larga scala iniziata in quel momento, ora sappiamo più del 60% del DNA dei Neanderthaliani è conservato nei nuclei delle cellule. Una nuova specie umana è stata descritta proprio sulla base del materiale genetico estratto dai denti e dalle ossa delle dita trovato in Siberia ed è stato riconosciuto che, contrariamente agli studi precedenti, l’Uomo di Neanderthal e il moderno Homo Sapiens si siano incrociati tra loro, lasciando tracce genetiche significative nei moderni gruppi umani vissuti a nord del Sahara.
Tuttavia, i campioni per le analisi archeogenetiche possono comportare un alto grado di distruzione e possono quindi essere fonte di preoccupazione dal punto di vista della conservazione del patrimonio, impedendo o rendendo difficile l’ottenimento e l’esecuzione del campionamento.
Il team internazionale di ricercatori dell’Università di Vienna, dell’università di Harvard e dell’l’Università Eötvös Loránd ha riconosciuto questo problema e ha recentemente sviluppato diversi nuovi metodi di campionamento per ridurre al minimo il danno osseo associato al campionamento. In primo luogo, è stata sviluppata la base metodologica per la perforazione, nell’orecchio interno, dalla base cranica e successivamente è stato dimostrato che l’uso degli ossicini uditivi può ridurre significativamente il danno durante il campionamento. La ricerca, pubblicata sulla rivista Genome Research.
Secondo Tamas Hajdu, capo del gruppo di ricerca ungherese, il nuovo metodo riduce sensibilmente l’entità del danneggiamento dei reperti. Consiste nel dissolvere il contenuto di DNA del frammento radicolare del dente, ricco di cemento cellulare, immergendolo in un’apposita soluzione. La qualità del campione così ottenuto non è buono come quello del DNA estratto dall’orecchio interno ma ha le medesime qualità del materiale genetico ottenuto con metodi tradizionali (perforazione e polverizzazione del dente). Il principale vantaggio del metodo è che il dente subisce solo al minimo danneggiamento, lasciandone intatta la struttura non solo morfologicamente ma anche istologicamente, mentre la sua composizione chimica inalterata consente di effettuare successive prove isotopiche (stronzio o C14). L’unico cambiamento evidente è la perdita di sbiancamento del colore della radice.
Il significato del nuovo metodo di campionamento, quindi, risiede nel suo effetto distruttivo minimo. Se i denti campionati vengono lasciati intatti, possono essere sottoposti a ulteriori studi morfologici, radiologici, istologici, patologici orali, isotopi stabili e radiocarbonio, fondamentale nei casi in cui sono rimasti solo pochi denti di un dato periodo e luogo, che possono essere vecchi di decine di migliaia di anni, e il campionamento distruttivo di questi precluderebbe completamente la successiva analisi.
Oltre alla ricerca sull’evoluzione umana, la nuova metodologia potrebbe anche contribuire a sviluppare i progetti sulla storia della popolazione e l’evoluzione delle malattie umane. Il nuovo metodo di campionamento, sviluppato in cooperazione internazionale, offre una nuova prospettiva per la conservazione dei manufatti per le istituzioni museali nazionali e internazionali, consentendo allo stesso tempo una conduzione, quasi non distruttiva, delle più recenti analisi archeogenetiche.
Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini
Per ulteriori info: Eötvös Loránd University (ELTE)