UNA NOTTE AL MUSEO: IL LOUVRE E I SUOI SEGRETI! seconda parte
Si conclude la visita al Louvre. Una visita particolare, una visita alla ricerca di segreti nascosti. La prima parte.
Buona Lettura.
Al secondo piano del Louvre è esposto un capolavoro dell’arte metallurgica: l’armatura di XVI secolo del sovrano francese Enrico II. Enrico non l’ha mai indossata. Il re possedeva diverse armature da usare in uno dei suoi svaghi preferiti: la giostra. Ma il 30 giugno del 1559 un incidente imprevisto cambia la storia di Francia: durante una delle giostre, una scheggia della lancia dell’avversario di turno del re penetrò nell’orbita oculare destra del sovrano che non spezzò l’osso del cranio ma, poiché era molto sporca di feci equine e sostanza raccolte dal terreno, introdusse un gran quantità di corpi estranei nei tessuti molli dell’occhio, producendo una grave infezione.
Enrico II, appena quarentenne, era alto e fisicamente prestante, molto appassionato dei tornei cavallereschi. Abilmente addestrato come cavaliere fin da bambino, per tenersi in allenamento tra una battaglia e l’altra, tra questa o quella guerra, praticava la giostra cavalleresca: armatura da 40 chili, lancia da 5 metri, cavalli da 600 chili lanciati l’uno contro l’altro, una pratica non da codardi!
Dopo l’incidente Enrico II venne immediatamente condotto a palazzo con varie schegge conficcate nell’occhio: delle sue cure si occuparono i migliori specialisti presenti sul suolo francese, pionieri della medicina moderna. Ambroise Paré, considerato come il padre della chirurgia moderna, e Andrea Vesàlio, i cui libri di anatomia hanno fatto scuola per diversi secoli, annotarono scrupolosamente i danni causati dall’incidente che accecarono immediatamente il re. Con il trauma, la testa subì un’accelerazione all’indietro e un contraccolpo in avanti, facendo spostare in avanti il cervello, in una dinamica comune a molte lesioni cerebrali, producendo un’abrasione nella parte posteriore del cervello stesso. L’infezione all’occhio produsse un allargamento della stessa all’interno del cervello, producendo un grosso ematoma: con l’aumento della pressione nel cranio sopraggiunse la morte. I medici tentarono anche una trapanazione del cranio reale per alleviare la pressione dell’ematoma, ma senza TAC, non ottennero il risultato sperato.
Dopo 11 giorni di agonia, il re morì. La salma fu esposta nella Galleria D’Apollon del Louvre e la sua maschera funebre è oggi conserva in una sala attigua. Si narra che alla morte di Enrico II la splendida armatura non fosse stata ultimata. La sua improvvisa dipartenza fece precipitare la Francia in una sanguinosa spirale di lotte intestine, segnando il declino della giostra cavalleresca.
Al Louvre ogni opera d’arte racconta una storia: alcune parlano di speranza, altre di disperazione. Un quadro narra la vicenda di una tragedia navale, dei 147 naufraghi nell’oceano ostile, dei 15 sopravvissuti all’arrivo dei soccorsi. E’ il quadro che narra del Naufragio Medusa che salpò nel 1816 diretta alle colonie del Senegal. Ma al largo delle coste dell’attuale Mauritania, l’incompetenza del capitano, che non navigava da 25 anni, spinse la nave su un banco di sabbia facendola incagliare.
Il comandante promise, davanti alla bandiera dei Borbone, che tutto l’equipaggio sarebbe stato portato in salvo, ma subito dopo il giuramento, lui e gli ufficiali presero posto nelle scialuppe di salvataggio. Il grosso dell’equipaggio, la marmaglia di marinai, dovette costruirsi una zattera enorme. Questa, sotto il peso di 147 persone, riesciva a malapena a stare a galla, ma era comunque trainata dalla catena di zattere di salvataggio. Forse per un banale errore, uno degli ufficiale tagliò la cima di raccordo, lasciando la zattera alla deriva, senza timone e senza strumenti di navigazione. La notizia della zattera della Medusa arrivò in Francia e Théodore Géricault, giovane artista in cerca di fama e fortuna, decise che quello fu il soggetto del suo primo capolavoro che lo condusse quasi alla pazzia.
Fu uno choc, per i contemporanei, veder raffigurata una sciagura in un quadro di enormi dimensioni la cui scala simile era riservata solo a grandi eroi e sovrani, ma non a poveri naufraghi. Géricault riuscì a metter in luce la grandezza dell’uomo, la sua tragedia: affascinato dai soggetti macabri, da soldati feriti, da animali morti, da violenza e follia, coma la sua vita privata. Una relazione incestuosa con la giovane moglie di suo zio lo portò a riempire i suoi taccuini di disegni erotici: ma lasciò la donna incinta di un figlio suo e decise di rinchiudersi nel suo studio per abbozzare i primi schizzi di orrore e disperazione.
La zattera della Medusa prese il largo a 90 chilometri dalla costa, in uno dei punti più inospitali del pianeta, ai margini del Sahara, in cui il calore del sole è implacabile e il mare è infestato dagli squali. Per sopravvivere i naufraghi disponevano di due barili di vino e una cassa di gallette. Una burrasca della prima notte falcidiò i primi uomini, così come la notte successiva: la rabbia contro gli ufficiali che li avevano abbandonati, mise i naufraghi contro e al mattino successivo i morti arrivarono già a 60! Si prese in considerazione l’ipotesi di nutrirsi della carne dei compagni e, superato il disgusto iniziale, l’istinto di sopravvivenza ebbe la meglio.
Géricault, cercando di rappresentare la sofferenza dei naufraghi, si ritirò completamente dalla vita sociale, quasi a immedesimarsi in quanto provassero i suoi soggetti. Vicino al suo studio c’era un manicomio di cui aveva ritratto alcuni pazienti. Vi fece ritorno per uno scopo più macabro: convinse i medici dell’obitorio a farsi dare delle membra umane che espose nel suo studio cercando di rivivere l’esperienza dei disperati alla deriva nell’oceano. Circondato dai resti umani, imparò a creare i colori della carne in decomposizione ma stranamente, man mano che la sua opera prese forma, gli elementi orrorifici iniziarono a scomparire finché l’atmosfera del dipinto cambiò completamente. Il pittore decise di immortalare un momento di speranza, il momento in cui, dopo 13 giorni, i sopravvissuti avvistarono un vascello all’orizzonte. Tutti fecero appello alle ultime forze rimaste per segnalare la loro presenza, ma non servì a nulla: la barca scomparve. Più tardi l’imbarcazione riapparve nuovamente e sembrò proprio che andasse verso di loro.
La tragedia, causata dall’incompetenza del comandate, suscitò scalpore in Francia e nel resto del mondo: la rabbia popolare provocò addirittura la caduta del governo ma Géricault non riuscì a vivere il successo del suo quadro o riabbracciare la donna amata e suo figlio, che crescerà senza un padre. Riuscì a ritrovare una luce di speranza nei naufraghi della Medusa ma non nella propria vicenda umana.
L’assassinio di un sovrano popolare per mano di un killer solitario è il tema di un’altra opera in mostra al Louvre: il sovrano è Enrico IV di Francia, ucciso nel 1610, primo monarca del ramo Borbone della dinastia dei Capetingi. Il dipinto “Apoteosi di Enrico IV” mostra il re, a sinistra, che ascende ai cieli della gloria con ai suoi piedi un serpente trafitto da una freccia. Il serpente rappresenta il suo assassino, François Ravaillac, un fanatico cattolico invasato delle teorie del legittimo tirannicidio.
Una mattina del maggio del 1610, un uomo eccentrico e stranamente vestito, seguì la carrozza reale uscita dal palazzo: sotto il vestito nascondeva un coltello. Enrico IV, ricordato ancora oggi come il “re buono“, aveva a cuore il benessere dei sudditi e cercò di arginarne la povertà. Si narra, inoltre, che avesse avuto più amanti di tutti i re di Francia messi insieme e molte di queste donne gli diedero dei figli, Ma per l’erede al trono, era necessaria una moglie: la prescelta fu Maria de Medici e, in una sala del Louvre, 24 dipinti del pittore fiammingo Pieter Paul Rubens, raccontano la sua storia. Il matrimonio è combinato e lo sposo non partecipa alla cerimonia, celebrato per procura: la futura regina contrasse matrimonio con uno sconosciuto, attirandosi l’odio di tutte le cortigiane. I protestanti sostenevano il re, i cattolici, la regina. Quando Maria fu incoronata i cattolici si sentirono vicini al potere e proprio il giorno successivo un cattolico, in “missione per conto di Dio”, volle compiere la sua missione!
La carrozza reale fece una sosta a causa della folla e dell’ostruzione della via da percorrere: le guardie lasciarono la carrozza incustodita per sgombrare la strata e Ravaillac ne approfittò. Con un balzo raggiunse il finestrino e affondò il coltello nel cuore del re. L’omicidio sembrò opera di un unico aggressore ma alcuni indizi fecero propendere per il contrario: molti uomini armati presenti nei dintorni scomparvero tempestivamente, la presenza, sulla carrozza, del Duca di Pregny, un aristocratico di cui il re non si era mai fidato. Questi portò via l’attentatore per evitarne il linciaggio e ritornò a palazzo convincendo la regina a reclamare la reggenza: tutte mosse che sembrano il frutto di un piano ben calcolato. Maria de Medici, vestita a lutto come in uno dei 24 dipint di Rubensi, inviò dei rappresentati al parlamento parigino per chiedere che le venisse affidata la reggenza. E nel dipinto, Rubens raffigura il popolo e la corte che cedono il potere alla regina!
Ravaillac fu processato e condannato a morte, ma prima dell’esecuzione fu sottoposto a interrogatorio e tortura per convincerlo a confessare del coinvolgimento di complici. Nonostante tutto, Ravaillac negò la presenza di complici o complotti. L’esecuzione inflitta fu per squartamento con quattro cavalli legati ai quattro arti per fare a pezzi il condannato. Ma quattro cavalli non riuscirono nel compito e la folla inferocita mandò a cercare altri quattro cavalli. Ravaillac, deluso, pronunciò la seguente frase: “Mi hanno ingannato! Mi hanno detto che il popolo avrebbe apprezzato il mio gesto, invece il popolo manda a cercare altri quattro cavalli per uccidermi…”. Poco dopo venne fatto a pezzi, portando con se il suo segreto!
Anche un importante reperto archeologico narra una storia molto significativa. Nel 1984 venne avviato un progetto per creare un nuovo ingresso al Louvre, la familiare “piramide di vetro” che oggi svetta nel cortile del museo. Ma prima di iniziare i lavori, durante uno scavo perlustrativo, venne scoperto un antico bastione e gli strumenti degli intagliatori con cui lo costruirono. Il Louvre odierno è costruito su un palazzo reale, edificato, a sua volta, su una struttura precedente: una fortezza medievale! Nel percorso di visita è possibile ammirare il fossato del castello al cui centro è presente una grande torre che ospitava le segrete, progettata per essere l’ultima zona della fortezza a cadere in caso di assedio. Lungo le mura del vecchio castello, inoltre, gli archeologi hanno scoperto un antico pozzo in disuso ma pieno di detriti e reperti. Tra questi, i frammenti di un elmo d’oro!
155 frammenti, oggi parzialmente riassemblati, sono parte di un elmo che è stato volontariamente distrutto prima di essere gettato nel pozzo. Tra i simboli, il giglio, il fleur-de-lys, emblema della casa reale francese ci rivela che è appartenuto a un re; l’iscrizione “En (…)ien” è il motto di Carlo VI, un monarca del XIV secolo meglio conosciuto come Carlo il Pazzo, perché soggetto a crisi di follia. Nel corso degli anni la follia si acuisce, spingendosi a distruggere gli oggetti che lo circondavano. E’ ipotizzabile che l’elmo sia stato distrutto proprio da Carlo VI!
Termina la nostra visita al Louvre. Ogni dipinto, ogni scultura, ogni opera d’arte del Louvre, ha un segreto da svelare. Per ogni mistero risolto, molti altri restano insoluti: dalle antiche muraglie di pietra, alla piramide di vetro, ogni generazione ha lasciato un segno, facendo echeggiare le storie di una leggenda secolare…
Daniele Mancini